Caritas Insieme n.2 2008 anticipazioni

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Caritas Insieme n.2 2008 anticipazioni

Messaggioda redazione Caritas Ticino » lun giu 02, 2008 9:54 am

in anteprima in attesa dell'uscita del numero estivo:


Dalla rivista Caritas Insieme n.2 2008 (uscita a fine giugno)

UN CERCATORE D’ORO IN CLERGYMAN
Don Gino Rigoldi con i giovani fuori e dentro il carcere


di Dante Balbo

Don Virginio Rigoldi è un pesce televisivo, che si muove bene nell’acquario del video, forte dell’esperienza che ha sviluppato in Italia, dove è uno dei pochi preti che accettano di partecipare a trasmissioni televisive anche se non specificamente di approfondimento.
Quando è venuto a Mendrisio nei mesi scorsi, per prendere parte ad una giornata sul disagio giovanile e l’educazione, lo abbiamo intervistato.
In un certo senso la sua intervista è il complemento del Cardinale scola, la cui conferenza qui in Ticino abbiamo ampiamente promosso e commentato, (vedi http://www.caritas-ticino.ch/Emissioni%20TV/rubriche/dvdeducazione.htm) anzi, alla fine le convergenze sono molte di più di quanto si possa immaginare, anche se in don Gino, come ormai lo chiamano tutti, si respira l’aria della strada, della caotica vita di una metropoli come Milano, con le sue fatiche, le contraddizioni, i percorsi da inventare giorno per giorno.
Quando il patriarca parla di testimone come di colui che si mette in mezzo, don Gino lo racconta, nel descrivere gli inizi della sua avventura, quando accoglieva i ragazzi in casa sua, finché non è “scoppiata”, generando un movimento di solidarietà che ha visto nascere comunità alloggio e mille altre iniziative.
Il prelato veneziano ricorda il ruolo dell’educatore come un compagno di strada e la grande risorsa di una società dalle mille aperture e possibilità; don Gino, pur vivendo ogni giorno fra le macerie di educazioni fallite, legge una gioventù bella e capace, pronta ad accogliere adulti che sappiano sognare con lei, restarle accanto, mostrare una strada possibile piena di gusto per la vita nella verità.
In don Rigoldi infatti, verità e misericordia non sono in contraddizione, ma le facce di un’identica medaglia, in cui al centro sta la libertà dell’altro e la possibilità che accolga una proposta di vita autentica, quando la percepisce vera per sé, nella vita e nella gioia di un altro.
Ciò che colpisce in don Gino, perché comune a molti uomini e donne che si sono dedicati agli altri, è la profonda umanità, consapevolezza della propria fragilità, ma anche del dono ricevuto, che non si può tenere per sé, nell’umiltà di chi riconosce la dignità dell’altro, nella speranza che possa anch’egli fare, nella sua inviolabile libertà, la medesima esperienza di entusiasmante incontro con Gesù vivente.


“Qualche cenno biografico, don Gino?”

“Prima di diventare prete ho lavorato, poi, avevo già 27 anni, sono stato per un po’ in parrocchia, ma quasi subito ho cominciato a occuparmi del carcere minorile, Cesare Beccaria, dove ormai lavoro da 36 anni. All’inizio erano dai mille ai mille e cinquecento ragazzi e ragazze, per la maggior parte immigrati di prima o seconda generazione dal sud dell’Italia, ora sono anche stranieri. Il mio compito, ora come allora, è di intercettarli, scoprire le loro risorse, per aiutarli a uscire dal carcere, con un progetto per non dovervi rientrare. Sono come un cercatore d’oro, che scava nella loro storia, per rintracciare quelle belle qualità che li aiutino a costruire una vita diversa.
Per fare questo anzitutto sospendo il giudizio, per capirli, parlare con loro, di quello che è successo, della vita in carcere, delle loro prospettive, in collaborazione, s’intende, con gli operatori carcerari, gli psicologi, le forze di polizia, tutti gli altri agenti che ruotano attorno al carcere. Si tratta di un lavoro che passa attraverso la vita insieme, il gioco e la conversazione seria, l’analisi della realtà, la presa di coscienza dei loro errori, delle vittime che hanno violato, delle prospettive concrete di futuro per il “dopo”. Sembra un lavoro difficile, ma in sostanza si tratta di essere con loro, di camminare come adulto con uno sguardo benevolo, con un sorriso, certamente con l’esperienza accumulata nel tempo, perché dopo 36 anni sono diventato un po’ specialista!
Il carcere è naturalmente la prima tappa, perché poi alle parole devono seguire i fatti, per cui all’inizio ho cominciato ad ospitare i ragazzi che uscivano, a casa mia. Quando è diventato insostenibile, perché erano venti a stare da me, ho dovuto necessariamente mobilitarmi per creare altre strutture, centri diurni, case-alloggio, luoghi di ascolto, ecc. A volte ho esagerato e sono stati gli stessi ragazzi a farmelo notare, quando mi hanno regalato una maglietta con la scritta: - Dio c’è, ma non sei tu, rilassati! –“

“Si ha l’impressione che i giovani abbiano perso un po’ i confini, non sappiano più riconoscere il senso dell’autorità, né la gravità dei loro atti. A maggior ragione questo deve essere vero con i ragazzi che incontri nel tuo servizio pastorale….”

“ che i giovani abbiano questa propensione o questa confusione nel muoversi, mi sembra fisiologico. A me pare invece che i giovani di oggi abbiano pochi compagni di strada, adulti che non li lascino orfani, che interagiscano con loro, usando della loro specifica prerogativa, di segnalare confini e itinerari. Oggi noi siamo in presenza di una bella gioventù, che sa ascoltare, partecipare, mettersi in gioco, ma ha bisogno di adulti responsabili, che scendano dai piedistalli del giudizio per farsi compagni di cammino. Noi ogni estate portiamo dei ragazzi a far volontariato in Romania, ma già a febbraio devo chiudere le iscrizioni, perché non posso superare le 250 unità, per motivi organizzativi. Se si fa loro una proposta interessante, intelligente, ci stanno, e imparano i confini, il senso degli altri, lo apprendono. Certo è che non mi pare che la cultura che respirano sia orientata in questo senso! Dire loro che si può far tutto, basta che piaccia e interessi, non significa certamente accompagnarli!”

“Successi ne puoi contare?”

“certo, d’altra parte molti si mettono a posto da soli, perché, nonostante si abbia l’impressione di essere indispensabili, poi di fatto sono loro stessi a trovare la strada, vuoi perché crescono, maturano,magari anche attraverso esperienze dolorose, ma trovano un loro equilibrio. Se dovessimo fare una valutazione quantitativa, si può dire che un buon 80%, spesso dopo più tentativi, ma riesce a reinserirsi. Fra loro addirittura qualcuno ha voluto farsi battezzare, cambiando religione o accogliendo semplicemente la fede. Quello che mi colpisce in queste occasioni è la gioia di aver ricevuto il battesimo, di ave rincontrato Gesù nella loro vita, che quasi mi fa arrossire, perché dovrei essere io come prete a testimoniarla, invece sono loro a manifestarla con tanta intensità.”

“Lavorare in un terreno come questo, significa confrontarsi con una realtà in cui i principi morali della Chiesa sembrano astratti e intraducibili, come si concilia il tuo essere sacerdote in un ambito simile?”

“Credo che Gesù Cristo, anzitutto, sia di bocca buona, perché se cominciassi a fare il tagliatore di teste, nessun ragazzo mi seguirebbe per un percorso! In secondo luogo ha la pazienza dei tempi dell’altro! Noi abbiamo un centro diurno dove accogliamo ragazzi che si prostituiscono. Potremmo essere inorriditi, invece pensiamo a loro in termini di anni, nei quali portarli ad una vita più pulita e positiva, perché la fraternità consiste in un cammino in cui portare le persone verso ciò che tu ti proponi come il bene, tenendo conto dei tempi, delle debolezze, anche dei tuoi errori, che spesso ostacolano di fatto il percorso altrui. Certo la chiarezza è essenziale, non è possibile accettare ciò che si ritiene sbagliato come inevitabile, ma con i tempi, la pazienza, il rispetto della libertà dell’altro, che non si può costringere ad indossare un vestito che non gli appartiene, ma deve essere libero di scegliere la sua strada.
A questo proposito mi vengono in mente due esperienze, nelle quali la mia strategia si è rivelata vincente in un caso e fallimentare in un altro.
C’era un ragazzo, molto intelligente e bello come personaggio, arrivato in carcere dopo una serie di rapine, che pensava che i preti fossero un po’ come le donne e valessero poco, il quale all’inizio mi sfidava continuamente, così che ho deciso di ignorarlo, con sua grande irritazione. Speravo di poterlo agganciare, ma è uscito dal carcere, per poi tornarvi poco dopo per gli stessi reati. Il suo atteggiamento era meno duro, perché si è reso conto che non stavo a corteggiarlo, ma semplicemente rispondevo alle sue domande, se aveva voglia e modo di farne. La svolta è avvenuta quando Giovanotti è venuto a suonare in carcere e gli mancava un chitarrista. Sapevo che questo ragazzo sapeva suonare e l’ho invitato. Si è sentito finalmente riconosciuto e valorizzato e da lì è cominciato un percorso di amicizia e di conoscenza, nel quale tuttavia non ho mai esercitato il ruolo del consigliere, ma di un amico che diventasse grande con lui. È diventato anche religioso e si è laureato, mentre la nostra amicizia si è approfondita, ma sempre nel segno di una vicinanza in cui io non tentavo di convertirlo, pur non rinunciando a mostrare a lui come agli altri, la realtà e i miei giudizi orientati cristianamente.
Un altro ragazzo, invece, che era in carcere per una violenza carnale, aveva avuto con me un rapporto discreto. Un giorno alla fine di una partita, fra il campo e le celle, lo incrocio tutto sudato, e mi dice che ha bisogno di parlarmi. Gli rispondo che era mezzogiorno, alle due sarei stato ancora lì, avremmo potuto parlare tranquillamente. Mi ha replicato che alle due non ci sarebbe stato più ed io ho messo via la faccenda con un sorriso. Si è impiccato all’Una di quello stesso giorno.
Ci sono voluti anni per superare questo episodio, che in realtà mi è rimasto addosso e oggi, se qualcuno mi dice che mi deve parlare…. Non indugio certo.”

“quale il tuo rapporto con i Media?”

“Quello che mi preoccupa e mi fa soffrire in questi tempi, in particolare in Italia, è il rancore che trasuda da tutti gli eventi e i fenomeni che vengono raccontati dai mezzi di comunicazione, per cui sembra di essere in Iraq dove ogni giorno si registra un attentato con morti e feriti. La nostra invece è una nazione che ha anche delle cose belle e interessanti. Io credo che ci si debba abituare con pazienza a raccontare le cose belle che si fanno, perché essere cristiani, forse risulta impopolare, forse possiamo sembrare ingenui e buonisti, ma sta scritto così: è la relazione che cambia le vite, è la buona azione che modera il male.
In televisione, più che raccontare di sé, è importante mostrare allora eventi del mondo giovanile, del volontariato, dei cittadini che si attivano, segnalando percorsi diversi dalla paura, dalla chiusura, dall’esclusione, compresi gli stranieri che sono da noi, che sono anche una grossa risorsa e non solo nemici che ci assediano. È con questa cultura di esclusione che si distrugge una società e in definitiva si tradisce la fede. Se non ci sono alloggi popolari, ad esempio, a Milano, non è colpa dei marocchini che le portano via ai milanesi, ma del comune, della provincia, della regione, che da anni non costruiscono nuove case popolari. Lo stesso vale per gli asili nido, per la cui scarsità sono accusati rumeni ed albanesi, che lavorano regolarmente da noi, contribuiscono al benessere della nazione, delle aziende e delle famiglie italiane, pagano le tasse, ad un municipio e a una regione che non usano i soldi per costruire nuove strutture di accoglienza atte a rispondere al bisogno.”

È pieno di passione il tono di don Gino, che più che raccontarci il suo rapporto con i media, ha usato del mezzo televisivo per denunciare uno stile informativo pericoloso e artificioso esprimendo un’opinione politically incorrect, con un riferimento alla situazione italiana, ma che ci sembra possa riguardare da vicino anche il dibattito elvetico.


Informazioni sull’attività di don Gino Rigoldi su http://www.comunitanuova.it/ e inoltre diversi video su youtube http://www.youtube.com/watch?v=Ig-QSBG5S7s&feature=related

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