Messaggioda frisoli » mar nov 04, 2008 4:31 pm
Qualche considerazione circa l’articolo di Don Bentivoglio.
Cito: “ Se una persona ignora la verità di sé e della propria vita, resta interiormente debole e i valori, anche nel caso fossero cordialmente accolti, non lo rendono intrinsecamente più forte, ma lo ingabbiano in comportamenti senza dubbio validi, ma non sufficientemente fondati, con la conseguenza che la persona agisce seguendo uno schema e non un’intima convinzione”.
E ancora: “Ogni uomo ha bisogno di conoscere la verità di sé e delle cose tutte. Ed è la scoperta di questa verità ed è l’affezione ad essa che gli permettono di avere una identità, di cogliere la dignità di chiunque e di percepire la positività dell’esistenza”.
Don Bentivoglio continua analizzando che oggi questa manca o è debole. La causa di questa mancanza o debolezza si determina “un’esistenza svalutata dove emerge un vuoto morale, conseguenza di un vuoto culturale nel quale ogni verità è stata bandita e il suo posto è stato occupato dall’istintività e dalla reattività”.
L’analisi continua osservando che tale svuotamento culturale e smarrimento valoriale è dato dal relativismo, con i suoi aggregati (edonismo e consumismo).
Quindi oggi sarebbe così.
Sono d’accordo e sottoscrivo l’incipit ma non concordo sull’analisi dei motivi.
Questo tipo di analisi, a mio giudizio, struttura un errato presupposto storico implicito.
C’è una sorta di “primismo” (è un mio termine che utilizzo per spiegare come: “prima era meglio”) che aleggia nell’articolo.
Ma perché prima era meglio?. Provo ad interpretare.
Il relativismo è figlio di quel soggettivismo che da Cartesio in poi ha caratterizzato il pensiero moderno, contemporaneo e post- contemporaneo.
Così come trovo errata quella visione illuminista che vede l’epoca ultima come il vertice di un processo di crescita e quindi sostanzialmente decretando che il progresso e la scienza segnino in modo incontrovertibile la possibilità di lettura dei meccanismi della vita e quindi della vita stessa;
così trovo non corretto il procedimento opposto ossia di pensare che un graduale avvizzimento della possibilità di discernimento, sia determinato soprattutto dal degrado complessivo delle condizioni culturali. Sono due facce della medesima medaglia.
Entrambe hanno un rimando “classista” dove la libertà e la responsabilità dell’individuo vengono subordinate al contesto di riferimento, manca quindi l’essenziale prospettiva della relazione:
Uomo-uomo che attraversa in modo trasversale tutta la storia dell’umanità. Perché la storia di ogni uomo si compie nel qui ed ora, pur essendo segno dell’escaton.
Francesco: chi sei Tu e chi sono io?
Se è vero che la modernità di fatto sovrappone in modo superficiale la coscienza al libero arbitrio, (quando si parla per esempio di libertà di coscienza) senza considerare che questo poggia, in una interpretazione tomista, sulla sinderesi o anamnesi come criterio di discernimento, è anche vero che la possibilità di ri-conoscere la verità non la determina e non può presupporla, ma la verità esiste a prescindere e questa è una Volontà che pre-viene la volontà dell’uomo.
Esodo 32,9: Il Signore disse inoltre a Mosè: "Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice”.
Era vero già duemila anni prima di Cristo.
È già successo nella storia dell’umanità che in occidente ci fosse un “unico” pensiero, cioè si erano create le condizioni culturali perché ogni uomo vivesse l’incontro con Cristo, ma così non è stato.
Non sono le condizioni ma è la testimonianza che fa scaturire l’incontro e le testimonianze determinano le condizioni. Così come avvenne per le prime comunità cristiane.
Il processo è inverso, non si può partire dal contenitore. Razionalizzare il ragionevole è un’azione “politicamente corretta” ma il ragionevole è razionale solo a partire dall’incontro di fede.
Mi potrebbe essere eccepito che l’introduzione la si da per acquisita (Ogni uomo ha bisogno di conoscere la verità di sé e delle cose tutte. Ed è la scoperta di questa verità ed è l’affezione ad essa che gli permettono di avere una identità, di cogliere la dignità di chiunque e di percepire la positività dell’esistenza”). Questa pre-messa rischia però di essere o-messa.
Il cosiddetto pensiero “forte” che si richiama ad un’identità definita, positiva (non positivista) e valoriale, contrapposto al pensiero “debole” soggettivista, sincretista e buonista è, a mio giudizio, debole anch’esso nella misura in cui non si fonda su Gesù Cristo, non può essere cioè un dato culturale/sociale ma kerigmatico.
Relazione di relazioni. Testimonianza di testimonianze. Azione libera dello Spirito Santo nel cuore dell’uomo che liberamente lo accoglie.
Efesini 1,15-23
Perciò anch`io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell`amore che avete verso tutti i santi, 16 non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, 17 perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. 18 Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi 19 e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l`efficacia della sua forza 20 che egli manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, 21 al di sopra di ogni principato e autorità,
di ogni potenza e dominazione
e di ogni altro nome che si possa nominare
non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. 22 Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi
e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, 23 la quale è il suo corpo,
la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose