reazioni islamiche a Benedetto XVI (visita in D)

L'incontro fra culture è una ricchezza straordinaria quando il dialogo non è perdità della propria identità ma scambio di esperienze e di conoscenze.
roby noris
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reazioni islamiche a Benedetto XVI (visita in D)

Messaggioda roby noris » dom set 17, 2006 10:51 am

Incontro con i rappresentanti della scienza nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg (12 settembre 2006)

Inglese http://www.vatican.va/holy_father/bened ... rg_en.html
italiano http://www.vatican.va/holy_father/bened ... rg_it.html
tedesco http://www.vatican.va/holy_father/bened ... rg_ge.html



dall'agenzia vaticana Zenit


Il Vaticano spiega le interpretazioni delle parole del Papa sull’islam


CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 15 settembre 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la dichiarazione consegnata ai giornalisti questo giovedì pomeriggio dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, S.J., sulle interpretazioni di alcuni brani del discorso che Papa Benedetto XVI ha pronunciato all’Università di Ratisbona.


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A proposito delle reazioni di esponenti musulmani circa alcuni passi del discorso del Santo Padre all’Università di Regensburg, è opportuno rilevare che – come risulta da una attenta lettura del testo – ciò che sta a cuore al Santo Padre è un chiaro e radicale rifiuto della motivazione religiosa della violenza.

Non era certo nelle intenzioni del Santo Padre svolgere uno studio approfondito sulla jihad e sul pensiero musulmano in merito, e tanto meno offendere la sensibilità dei credenti musulmani.

Anzi, nei discorsi del Santo Padre appare chiaramente il monito, rivolto alla cultura occidentale, perché si eviti "il disprezzo di Dio e il cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà" (discorso del 10.9), la giusta considerazione della dimensione religiosa è infatti premessa essenziale per un fruttuoso dialogo con le grandi culture e religioni del mondo. Proprio nelle conclusioni del discorso all’Università di Regensburg, Benedetto XVI ha affermato: "Le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio nella esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture".

È chiara quindi la volontà del Santo Padre di coltivare un atteggiamento di rispetto e di dialogo verso le altre religioni e culture, evidentemente anche verso l’islam.
ZI06091506




Dichiarazione del Cardinal Bertone sulle reazioni islamiche
Al discorso pronunciato da Benedetto XVI a Ratisbona


CITTÀ DEL VATICANO, sabato, 16 settembre 2006 (ZENIT.org).- Di fronte alle reazioni da parte musulmana circa alcuni passi del discorso del Santo Padre Benedetto XVI all’Università di Regensburg, ai chiarimenti e alle precisazioni già offerti tramite il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha aggiunto questa dichiarazione.


* * *



- La posizione del Papa sull’Islam è inequivocabilmente quella espressa dal documento conciliare Nostra Aetate: "La Chiesa guarda con stima i musulmani, che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano anche di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti nascosti di Dio, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano però come profeta; onorano la sua madre vergine Maria e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio quando Dio ricompenserà tutti gli uomini risuscitati. Così pure essi hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno" (n. 3).

- L’opzione del Papa in favore del dialogo interreligioso e interculturale è altrettanto inequivocabile. Nell’incontro con i rappresentanti di alcune comunità musulmane a Colonia, il 20 agosto 2005, Egli ha detto che tale dialogo fra cristiani e musulmani "non può ridursi a una scelta stagionale", aggiungendo: "Le lezioni del passato devono servirci ad evitare di ripetere gli stessi errori. Noi vogliamo ricercare le vie della riconciliazione e imparare a vivere rispettando ciascuno l’identità dell’altro".

- Quanto al giudizio dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, da Lui riportato nel discorso di Regensburg, il Santo Padre non ha inteso né intende assolutamente farlo proprio, ma lo ha soltanto utilizzato come occasione per svolgere, in un contesto accademico e secondo quanto risulta da una completa e attenta lettura del testo, alcune riflessioni sul tema del rapporto tra religione e violenza in genere e concludere con un chiaro e radicale rifiuto della motivazione religiosa della violenza, da qualunque parte essa provenga. Vale la pena di richiamare al riguardo quanto lo stesso Benedetto XVI ha recentemente affermato nel Messaggio commemorativo del XX anniversario dell’incontro interreligioso di preghiera per la pace voluto dal Suo amato predecessore Giovanni Paolo II ad Assisi nell’ottobre del 1986: " … le manifestazioni di violenza non possono attribuirsi alla religione in quanto tale, ma ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo … Di fatto, testimonianze dell’intimo legame esistente tra il rapporto con Dio e l’etica dell’amore si registrano in tutte le grandi tradizioni religiose".

- Il Santo Padre è pertanto vivamente dispiaciuto che alcuni passi del Suo discorso abbiano potuto suonare come offensivi della sensibilità dei credenti musulmani e siano stati interpretati in modo del tutto non corrispondente alle sue intenzioni. D’altra parte, Egli, di fronte alla fervente religiosità dei credenti musulmani, ha ammonito la cultura occidentale secolarizzata perché eviti "il disprezzo di Dio e il cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà".

- Nel ribadire il Suo rispetto e la Sua stima per coloro che professano l’Islam, Egli si augura che siano aiutati a comprendere nel loro giusto senso le Sue parole, affinché, superato presto questo momento non facile, si rafforzi la testimonianza all’"unico Dio, vivente e sussistente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini" e la collaborazione per "difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà" (Nostra Aetate, n. 3)".
ZI06091601

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Articolo Avvenire 20 settembre 2006

Messaggioda redazione Caritas Ticino » mar ott 17, 2006 2:37 pm

Portava il velo, scelto liberamente. La suora uccisa. Un assurdo per l'islam

di Lucetta Scaraffia

http://www.stranau.it/news/news_0609/sc ... 060920.htm

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VATICANO - ISLAM di Samir Khalil Samir, sj

Messaggioda redazione Caritas Ticino » mar ott 17, 2006 2:39 pm

15 Settembre 2006 VATICANO - ISLAM
Il discorso del papa, una mano tesa all’Islam perché non affoghi
di Samir Khalil Samir, sj

http://www.asianews.it/view.php?l=it&art=7224


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Perché Benedetto XVI non ha voluto tacere, né ritrattare

Messaggioda redazione Caritas Ticino » mar ott 17, 2006 2:45 pm

Perché Benedetto XVI non ha voluto tacere, né ritrattare

http://www.chiesa.espressonline.it/dett ... p?id=85302

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Come Joseph Ratzinger guarda all’islam

Messaggioda redazione Caritas Ticino » mar ott 17, 2006 2:48 pm

Incontri di civiltà. Come Joseph Ratzinger guarda all’islam
L’autore di questo saggio è un gesuita egiziano che conosce molto da vicino sia il papa sia la religione musulmana. L’ha scritto e pubblicato per “Asia News”. Eccolo integrale

di Samir Khalil Samir S.I.

Benedetto XVI è forse fra le poche personalità ad aver capito profondamente l’ambiguità in cui si dibatte l’islam contemporaneo e la sua fatica nel trovare un posto nella società moderna. Nello stesso tempo egli sta proponendo all’islam una via per costruire la convivenza mondiale e con le religioni basata non sul dialogo religioso, ma culturale e di civiltà, basata sulla razionalità e su una visione dell’uomo e della natura umana che viene prima di qualunque ideologia o religione. Questo puntare al dialogo culturale spiega la sua scelta di assorbire il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso dentro al più grande pontificio consiglio per la cultura.

Mentre il papa chiede all’islam un dialogo basato sulla cultura, sui diritti umani, sul rifiuto della violenza, nello stesso tempo egli chiede all’Occidente di ritornare a una visione della natura umana e della razionalità in cui non si escluda la dimensione religiosa. In questo modo – e forse soltanto così – si potrà evitare un conflitto delle civiltà, trasformandolo invece in un dialogo fra le civiltà.

Il totalitarismo islamico è diverso dal cristianesimo

Per comprendere il pensiero di Benedetto XVI sulla religione islamica, occorre seguirne l’evoluzione. Un documento davvero essenziale si trova nel suo libro scritto insieme a Peter Seewald nel 1996, quando era ancora cardinale, dal titolo “Il sale della terra”.

Alle pagg. 274-278, egli fa alcune considerazioni e mette in luce alcune differenze fra l’islam e la religione cristiana e l’occidente.

Egli mostra anzitutto che nell’islam non c’è un’ortodossia, perché non c’è un’autorità, un magistero dottrinale comune. Questo rende il dialogo difficile: quando dialoghiamo, non dialoghiamo “con l’islam”, ma con dei gruppi.

Ma il punto chiave che egli affronta è quello sulla shari’a. Egli dice:

“Il Corano è una legge religiosa che abbraccia tutto, che regola la totalità della vita politica e sociale e suppone che tutto l’ordinamento della vita sia quello dell’islam. La shari’a plasma una società da cima a fondo. Di conseguenza, l’islam può sfruttare le libertà concesse dalle nostre costituzioni, ma non può porre tra le sue finalità quella di dire: sì, ora siamo anche noi enti di diritto pubblico; ora siamo presenti [nella società] come i cattolici e i protestanti. A questo punto [l’islam] non ha ancora raggiunto pienamente il suo vero scopo, si trova ancora in una fase di alienazione”.

Questa fase si potrà concludere solo con l’islamizzazione totale della società. Quando ad esempio un islamico si trova in un società occidentale, lui può godere o sfruttare alcuni elementi, ma non si identificherà mai con il cittadino non musulmano, perchè non si trova in una società musulmana.

Il cardinale Ratzinger ha visto quindi con chiarezza una difficoltà essenziale del rapporto socio-politico con il mondo musulmano, che viene dalla concezione totalizzante della religione islamica, profondamente diversa dal cristianesimo. Per questo egli insiste nel dire che non dobbiamo cercare di proiettare sull’islam la visione cristiana del rapporto tra politica e religione. Ciò sarebbe difficilissimo: l’islam è una religione totalmente diversa dal cristianesimo e dalla società occidentale e questo non rende facile la convivenza.

In un seminario a porte chiuse, tenuto a Castelgandolfo l’1 e il 2 settembre 2005, il papa ha insistito e sottolineato la stessa idea: la profonda diversità fra islam e cristianesimo. Stavolta è partito da un punto di vista teologico, tenendo conto della concezione islamica della rivelazione: il Corano “è disceso” su Maometto, non è “ispirato” a Maometto. Per questo il musulmano non si sente in diritto di interpretare il Corano, ma è legato a questo testo emerso in Arabia nel VII secolo. Questo porta alle stesse conclusioni di prima: l’assolutezza del Corano rende molto più difficile il dialogo, perché le possibilità di interpretazione sembrano escluse e comunque molto ridotte.

Come si vede, il suo pensiero da cardinale si prolunga nella sua visione come pontefice, che mette in luce le profonde differenze fra islam e cristianesimo.

Il 24 luglio in Val d’Aosta, subito dopo l’Angelus, ad una domanda se l’islam può essere considerato una religione di pace, risponde: “Io non chiamerei questo in parole generiche, certamente l’islam contiene degli elementi in favore della pace, come contiene altri elementi”. Anche se non in modo esplicito, Benedetto XVI fa comprendere che l’islam soffre di ambiguità verso la violenza, giustificandola in vari casi. E aggiunge: “Dobbiamo sempre cercare di trovare gli elementi migliori”. Un altro chiede allora se gli attacchi dei terroristi possono essere considerati anticristiani. La sua risposta è netta: “No, generalmente l’intenzione sembra essere molto più generale e non precisamente diretta alla cristianità”.

Dialogo fra culture più fruttuoso del dialogo interreligioso

A Colonia, il 20 agosto, papa Benedetto XVI ha il suo primo grande incontro con rappresentanti della comunità musulmana. In un discorso relativamente lungo, egli dice:

“Sono certo di interpretare anche il vostro pensiero nel porre in evidenza tra le preoccupazioni quella che nasce dalla constatazione del dilagante fenomeno del terrorismo”.

Qui mi piace il fatto che lui coinvolga i musulmani, dicendo loro che abbiamo la stessa preoccupazione. Nel testo italiano, che ho confrontato col tedesco, ho trovato che manca una frase: “So che siete numerosi a rigettare con forza, anche pubblicamente, in particolare qualunque legame tra il terrorismo e la vostra fede, e a condannarlo chiaramente”.

Più avanti dice che “il terrorismo di qualunque matrice esso sia, è una scelta perversa e crudele [una parola che ripete tre volte - ndr] che calpesta il diritto sacrosanto alla vita e scalza le fondamenta stesse di ogni civile convivenza”. Poi, di nuovo, viene a coinvolgere il mondo islamico:

“Se insieme riusciremo a estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a contrastare ogni forma di intolleranza e ad opporci ad ogni manifestazione di violenza, fermeremo l’ondata di fanatismo crudele che mette a repentaglio la vita di tante persone, ostacolando il progresso della pace nel mondo. Il compito è arduo, ma non impossibile e il credente può arrivarci”.

Mi è piaciuta molto la sottolineatura sull’ “estirpare dai cuori il sentimento di rancore”: Benedetto XVI ha capito che una delle cause del terrorismo è questo sentimento di rancore. E più avanti:

“Cari amici, sono profondamente convinto che, senza cedimenti alle pressioni negative dell’ambiente, dobbiamo affermare i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace”. E ancora:

“Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali; la dignità della persona e la difesa dei diritti, che da tale dignità scaturiscono, devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale, di ogni sforzo posto in essere per attuarlo”.

E qui viene una frase essenziale:

“È questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce sommessa, ma chiara della coscienza. Solo sul riconoscimento della centralità della persona si può trovare una comune base di intesa superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente delle ideologie”.

Dunque, prima ancora della religione, c’è la voce della coscienza, e tutti dobbiamo lottare per i valori morali, la dignità della persona, la difesa dei diritti.

Per Benedetto XVI, perciò, il dialogo va basato sulla centralità della persona, che supera sia le contrapposizioni culturali sia le ideologie. E penso che sotto le ideologie si possano comprendere anche le religioni. Questa è una delle idee-forza del papa: essa spiega anche perché ha unito il pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e il consiglio per la cultura, sorprendendo tutti. La scelta nasce dalla sua profonda visione, e non è, come si è detto nella stampa, per “far fuori” monsignor Michael Fitzgerald, meritevole di molta riconoscenza. Forse c’è anche questo, ma non è lo scopo.

L’idea essenziale è che il dialogo con l’islam e con le altre religioni non può essere essenzialmente un dialogo teologico o religioso, se non in senso largo di valori morali. Esso deve invece essere un dialogo di culture e di civiltà.

Vale la pena ricordare che già nel lontano 1999 il cardinale Ratzinger ha partecipato a un incontro con il principe Hassan di Giordania, il metropolita Damaskinos di Ginevra, il principe Sadruddin Aga Khan, morto nel 2003, e il gran rabbino di Francia René Samuel Sirat. Musulmani, ebrei e cristiani erano invitati da una fondazione per il dialogo interreligioso e interculturale, a creare un punto di dialogo culturale fra di loro.

Questo passo verso il dialogo culturale è di estrema importanza. In tutti i dialoghi che si fanno con il mondo musulmano, appena si comincia a trattare temi religiosi, si inizia a parlare di palestinesi, Israele, Iraq, Afghanistan, insomma di tutti i conflitti politici o culturali. Con l’islam non si riesce mai a fare un discorso squisitamente teologico: non si può parlare della trinità, dell’incarnazione, ecc. Una volta, a Cordoba nel 1977, si è fatto un convegno sulla nozione di profezia. Dopo aver trattato del carattere profetico di Cristo come visto dai musulmani, un cristiano ha esposto il carattere profetico di Maometto dal punto di vista cristiano e ha osato dire che la Chiesa non lo può riconoscere come profeta; al limite potrebbe definirlo tale ma solo in un senso generico, come si dice che Marx è “il profeta” dei tempi moderni. Risultato: abbiamo dovuto interrompere l’incontro e per tre giorni non si è parlato che di questo.

I momenti più fruttuosi nei miei incontri con il mondo musulmano sono stati quando si parlava di questioni interdisciplinari o interculturali. Ho partecipato più volte, invitato dai musulmani, a incontri interreligiosi in varie parti del mondo musulmano: sempre si è parlato di incontro di religioni e civiltà, o culture. Due settimane fa, a Isfahan, nell’Iran, il titolo era “Incontro di civiltà e religioni”. Il 19 settembre prossimo, alla Pontificia Università Gregoriana a Roma, si terrà un incontro organizzato dal ministero della cultura in Iran con l’Italia e anche questo avrà a tema l’incontro fra le culture, con la presenza dell’ex presidente iraniano Khatami.

Il papa ha capito questo aspetto importante: discutere di teologia può avvenire solo tra pochi, ma non tra islam e cristianesimo, certo non per il momento. Invece si tratta di affrontare il vivere insieme sotto gli aspetti concreti della politica, dell’economia, della storia, della cultura, delle usanze.


Razionalità e fede


Un altro fatto mi sembra molto importante. In un dialogo del 25 ottobre 2004 tra lo storico Ernesto Galli della Loggia e l’allora cardinale Ratzinger, a un certo momento il cardinale, parlando di teologia, ricorda i “semi del Verbo” e sottolinea l’importanza della razionalità nella fede cristiana, vista dai Padri della Chiesa come il compimento della ricerca di verità presente nella filosofia. Galli della Loggia allora dice: “La vostra speranza, che è identica alla fede, porta con se un logos e questo logos può divenire un’apologia, una risposta che può essere comunicata agli altri”, a tutti.

Il cardinale Ratzinger risponde: “Noi non vogliamo creare un impero di potere, ma abbiamo una cosa comunicabile alla quale va incontro un’attesa della nostra ragione. È comunicabile perché appartiene alla nostra comune natura umana e c’è un dovere di comunicare da parte di chi ha trovato un tesoro di verità e amore. La razionalità era quindi postulato e condizione del cristianesimo, che rimane un’eredità europea per confrontarci in modo pacifico e positivo, sia con l’islam, sia con le grandi religioni asiatiche”.

Per lui, dunque, il dialogo è a questo livello, cioè fondato sulla ragione. Andando oltre, egli aggiunge:

“Questa razionalità diventa pericolosa e distruttiva per la creatura umana se diventa positivista [e qui egli fa la critica all’Occidente - ndr], che riduce i grandi valori del nostro essere alla soggettività, [al relativismo] e diventa così un’amputazione della creatura umana. Non vogliamo imporre a nessuno una fede che si può accettare solo liberamente, ma come forza vivificatrice della razionalità dell’Europa essa appartiene alla nostra identità”.

Qui viene il passaggio essenziale:

“È stato detto che non dobbiamo parlare di Dio nella costituzione europea, perché non dobbiamo offendere i musulmani e i fedeli di altre religioni. È vero il contrario. Ciò che offende i musulmani e i fedeli di altre religioni non è parlare di Dio o delle nostre radici cristiane, ma piuttosto il disprezzo di Dio e del sacro che ci separa dalle altre culture e non crea una possibilità di incontro, ma esprime l’arroganza di una ragione diminuita, ridotta, che provoca reazioni fondamentaliste”.

Benedetto XVI ammira nell’islam la certezza basata sulla fede, in opposizione all’Occidente che relativizza tutto; e ammira nell’islam il senso del sacro, che invece sembra essere sparito in Occidente. Egli ha capito che il musulmano non è offeso dal crocifisso, dai segni religiosi: questa è in realtà una polemica laicista che tende a eliminare il religioso dalla società. I musulmani non sono offesi dai simboli religiosi, ma dalla cultura secolarizzata, dal fatto che Dio ed i valori che essi collegano con Dio sono assenti da questa civiltà.

Questa è anche la mia esperienza, quando ogni tanto converso con musulmani che lavorano in Italia. Mi dicono: in questo paese c’è tutto, possiamo vivere come vogliamo, ma purtroppo non vi sono “principii” (questa è la parola che usan o). Questo è sentito molto dal papa, che dice: torniamo alla natura umana, basata sulla razionalità, sulla coscienza, che dà idea dei diritti umani; e non riduciamo la razionalità a qualcosa di impoverito, ma integriamo il religioso nella razionalità; il religioso è parte della razionalità.

In questo a me sembra che Benedetto XVI abbia meglio precisato la visione di Giovanni Paolo II. Per il papa polacco il dialogo con l’islam doveva aprirsi alla collaborazione su tutto, anche nella preghiera. Benedetto XVI mira a punti più essenziali: la teologia non è ciò che conta, almeno non in questa fase storica; importa il fatto che l’islam è la religione che si sta sviluppando di più e che diviene sempre più un pericolo per l’Occidente e per il mondo. Il pericolo non è l’islam in genere, ma una certa visione dell’islam che non rinnega mai apertamente la violenza e genera terrorismo e fanatismo.

D’altra parte egli non vuole ridurre l’islam a un fenomeno socio-politico. Il papa ha capito profondamente l’ambiguità dell’islam, che è insieme l’uno e l’altro, che talvolta gioca su uno o sull’altro fronte. E lancia la proposta che se vogliamo trovare una base comune, dobbiamo uscire dal dialogo religioso per mettere fondamenti umanistici all base di questo dialogo, perché solo questi sono universali e comuni a tutti gli esseri umani. L’umanesimo è un fattore universale, mentre le fedi possono essere fattori di scontro e divisione.


Sì alla reciprocità, no al buonismo


La posizione del papa non cade mai nella giustificazione del terrorismo e della violenza. Talvolta anche fra personalità ecclesiastiche si scivola in un relativismo generico: in fondo la violenza c’è in tutte le religioni, anche fra i cristiani. Oppure: la violenza è giustificata come risposta ad altre violenze… No, questo papa non ha mai fatto allusioni del genere.

D’altra parte egli non cade nemmeno nell’atteggiamento di certo cristianesimo occidentale segnato dal buonismo e dai complessi di colpa. Di recente, tra i musulmani, c’è chi ha domandato che il papa chieda scusa per le crociate, il colonialismo, i missionari, le vignette, ecc. Benedetto XVI non cade in questa trappola, perché sa che le sue parole potrebbero essere utilizzate non per costruire un dialogo, ma per distruggerlo. Questa è l’esperienza che noi abbiamo del mondo musulmano: tutti questi atti, molto generosi e profondamente spirituali, di chiedere perdono per i fatti storici del passato, sono strumentalizzati e vengono presentati dai musulmani come una rivincita: ecco – dicono – lo riconoscete voi stessi, siete colpevoli. Questi fatti non suscitano mai una reciprocità.

A questo proposito, vale la pena ricordare il discorso di Benedetto XVI all’ambasciatore del Marocco, il 20 febbraio 2006, quando ha fatto un’ allusione, al “rispetto delle altrui convinzioni e pratiche religiose, affinché in maniera reciproca, in tutte le società, sia realmente assicurato a ciascuno l’esercizio della religione liberamente scelta”. Sono due piccole affermazioni, ma importantissime sulla reciprocità dei diritti di libertà religiosa fra paesi occidentali e islamici e sulla libertà di cambiare religione, un fatto proibito nell’Islam. Il bello è che egli ha osato farle: nel mondo politico ed ecclesiale spesso si ha paura ad accennare a queste cose. Basta vedere il silenzio che vige sulle violazioni alla libertà religiosa presenti in Arabia Saudita.

Mi piace molto questo papa, il suo equilibrio, la sua chiarezza. Egli non fa nessun compromesso: continua a sottolineare la necessità di annunciare il Vangelo in nome della razionalità e dunque non si lascia influenzare da chi teme e denuncia un preteso proselitismo. Il papa chiede sempre le garanzie perché si possa “proporre” la fede cristiana e perché essa possa essere “liberamente scelta”.

__________


L’autore del saggio, Samir Khalil Samir, gesuita, egiziano, è docente di islamologia e di storia della cultura araba all’Université Saint-Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma; è fondatore del Centre de Recherche Arabes Chrétiennes; ed è presidente dell’International Association for Christian Arabic Studies. Nel settembre del 2005 ha partecipato, a Castel Gandolfo, a un incontro di studio con Benedetto XVI sul concetto di Dio nell’islam.

Il primo lancio on line di questo saggio è avvenuto il 26 aprile 2006 su “Asia News”, l’agenzia specializzata sull’Asia – tradotta anche in cinese – fondata e diretta a Roma da padre Bernardo Cervellera, del Pontificio Istituto Missioni Estere:
Asia News <http://www.asianews.it/main.php?l=it

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Dopo il discorso di Regensburg: uno strumento per capire

Messaggioda redazione Caritas Ticino » mar ott 17, 2006 2:50 pm

Dopo il discorso di Regensburg: uno strumento per capire

Uno strumento per capire:
Il franco-tunisino Alexandre Del Valle, illustre saggista, geopolitologo, ricercatore alla Sorbona di Parigi e collaboratore di prestigiose testate come Le Figaro, France Soir e Quaderni Geopolitici, è uno dei maggiori esperti a livello internazionale delle tematiche riguardanti il terrorismo e il cosiddetto "scontro di civiltà" tra Islam e Occidente.

E' autore di numerosi e importanti saggi, tra i quali "Il totalitarismo islamico: all'assalto delle democrazie". In occasione della sua recente visita in Italia, durante la quale è stato impegnato in numerose conferenze, ha concesso la seguente intervista a L'Informazione. utile per capire alcuni aspetti degli eventi che ci circondano. -alex



Recentemente, il discorso di Papa Benedetto XVI nel quale ha affermato che "la guerra santa è contro Dio" ha fatto scattare le proteste del mondo islamico. Secondo lei il Papa dovrebbe chiedere scusa?



<Secondo me sarebbe un errore, perchè il Papa non solo non ha detto niente di falso, ma ha detto una cosa che pensano molti fedeli e governi musulmani. Faccio un esempio: la Tunisia, grazie a figure come l'ex ministro dell'educazione, ha vietato nelle scuole pubbliche alcune

sure del Corano o le ha riformate, decontestualizzate, perchè la Tunisia ha capito da molto tempo che se non sradichiamo, se non cancelliamo l'origine teologica della violenza che purtroppo è insita, se non in tutto, ma in alcune parti del Corano, non si può dopo lottare contro quelli che vogliono utilizzare questa violenza in nome di Dio, perchè loro si potranno sempre riferire alla Shari'a, la legge islamica, mai riformata dal secolo decimo, o direttamente al Corano. Il Papa ha solo detto quello che moltissimi musulmani dicono, pensano, e per cui alcuni sono anche morti. Io direi che tutto sta nel problema che questa religione non è stata riformata dal secolo decimo, mentre tutte le religioni, anche la chiesa cattolica, da sempre criticata per il suo oscurantismo, l'ha fatto. Nell'Islam non c'è mai stata discussione, e la reazione violenta degli arabi, dei pachistani e di tutto il mondo islamico, è la manifestazione del problema interno all'Islam, cioè l'assenza dell'autocritica. Nell'Islam c'è l'abitudine di accusare gli altri, gli ebrei, i sionisti, i massoni, i comunisti, gli americani, i liberali, ma mai di fare autocritica; e una civiltà, per quanto possa aver sofferto in passato, non può solamente criticare gli altri. Con il suo discorso, il Papa ha solo voluto aiutare i musulmani a liberarsi dalla loro prigione coranica e shariatica».



Il Vaticano ha poi ripetuto come il concetto di guerra santa sia estraneo allo stesso Corano. Quindi, anche secondo lei non sarebbe un concetto fisiologico nella religione islamica, ma deriverebbe da questo processo di non modernizzazione?



«La violenza è intrinseca nella vita di Maometto, non lo possiamo negare. Il Profeta ha partecipato a 37 combattimenti con la spada in mano, ci sono le sure con le sue gesta, e i musulmani sono molto fieri del fatto che non fu come Gesù, cioè soltanto un uomo di spiritualità, ma fu anche un politico e un combattente. In arabo si dice sempre: "La religione di Maometto con la spada". Quindi non è un'accusa, ma una realtà storica. Ma è anche vero che in qualche corrente islamica modernizzata c'è la volontà di decidere che le gesta violente del Profeta debbano essere riferite all'epoca, storicamente molto violenta, in cui Maometto ha vissuto e lottato. I musulmani moderati dicono che dobbiamo dimenticare l'Islam di Medina, il luogo dove divenne violento, e tornare alla religione degli inizi, esattamente come ha detto Ratzinger. Alla Mecca, nel momento della prima predicazione, Maometto non era violento, perchè era solo, ed era amico degli ebrei e dei cristiani. Io penso che per salvare l'Islam basterebbe contestualizzare, riformare, definire "superate" le

sure di Medina, e far prevalere quelle della Mecca. Sarebbe abbastanza facile, è stato fatto in Turchia, in Tunisia, e salverebbe il mondo islamico dalla violenza».



L'integralismo islamico deriva principalmente da questa mancanza di revisionismo o ci sono anche altri fattori scatenanti?



«Più che integralismo musulmano io lo chiamerei totalitarismo, perchè un integralista può essere anche non violento, per esempio come i testimoni di Geova. Il totalitarismo, invece, ha come caratteristica il rifiuto della libertà, il disprezzo della vita e la violenza assoluta contro chi non la pensa allo stesso modo, e riferendoci ad Al-Quaida, ha parecchie radici, ma la principale la trova nell'assenza di riforma nell'Islam sunnita. Anche l'Ayatollah Khomeini, sciita, è stato influenzato da un'organizzazione sunnita, i Fratelli Musulmani, nati negli anni '30 in Egitto, che avevano come scopo il ritorno all'Islam delle origini, prima di quello straordinario influsso di culture che ha fatto nascere l'Islam come lo conosciamo noi oggi. I sunniti dicono che tutto ciò che è fuori dall'Arabia Saudita, fuori dal beduismo dei primi musulmani, è corrotto, infedele: per questo la volontà dei Fratelli Musulmani di tornare alla vita di Maometto beduino con la spada è la radice principale di tutti totalitaristi, che utilizzano sempre la parola "Medina" nei loro proclami. Loro non pensano che l'Islam della Mecca non fosse vero, ma che l'Islam perfetto fosse quello finale, della violenza della Jihad di Medina. Soltanto dopo di questo viene la rabbia anticolonialista, contro il sionismo, Israele e l'occupazione dell'Iraq, ma sono tutti pretesti che legittimano la guerra santa più che darvi spiegazione. L'origine del totalitarismo avvenne molto prima, internamente, per la mancanza di riforme: ma non dimentichiamo che questo sentimento venne rinvigorito dalle colpe dell'Occidente, e la principale fu di aver appoggiato gli integralisti. Ma questo lo scrive Magdi Allam: durante la Guerra Fredda abbiamo accolto e addestrato la maggioranza degli islamisti sunniti che dopo hanno creato Al-Quaida».



Quali sono i rischi concreti che le società multietniche occidentali corrono per gli attentati organizzati da comunità islamiche nate e cresciute al loro interno?



«Il rischio principale è rappresentato dall'ingenuità delle società aperte. Io sono per l'apertura ed il dialogo, ma l'errore che le democrazie europee stanno facendo è dialogare con chi non merita il dialogo. L'associazione italiana dell'Ucoii è il perfetto esempio: è un'associazione patologicamente antisemita, antiebraica, che rifiuta il pluralismo e la laicità. Mi ricordo in un convegno a cui parteciparono il presidente ed il portavoce del movimento, durante il quale chiesero, davanti alle telecamere, la completa islamizzazione dell'Italia, aggiungendo: «Se non ci date più denaro, non vi stupite se creeremo terroristi in Italia». In quell'occasione, minacciò apertamente gli italiani di rappresaglie terroristiche, e ha funzionato: dopo poco tempo l'Ucoii è stato ufficialmente riconosciuto dal Governo italiano. Dunque il rischio principale non è solo il terrorismo islamico, che, in proporzione, colpisce maggiormente i paesi islamici, ma anche dare troppo spazio a questi integralisti falsamente moderati, che non utilizzano come arma il terrorismo, e che sono consci del fatto che si ottiene di più contando sull'eversione dei nostri valori, la falsa moderazione, il doppigiochismo. Il musulmano ha un rapporto con il tempo diverso dagli occidentali: l'Ucoii sa che progredirà a tappe, e che la minoranza musulmana diventerà in futuro maggioranza, complice anche il basso tasso di crescita demografica degli europei, l'assenza di politiche che favoriscano la loro natalità e la mancanza di un controllo efficace dei flussi migratori. Io proporrei di accogliere coloro che accettano i nostri valori, ma di non avere pietà contro chi vuole invaderci in senso politico e ideologico».



Non possiamo non citare la morte di Oriana Fallaci, che ha denunciato con accanimento il problema dello scontro tra civiltà: lei la conosceva?



«Non personalmente, ma eravamo da tempo in contatto: infatti, non condividevo del tutto "La rabbia e l'orgoglio", e glielo dissi: lei allora mi chiese di aiutarla per avere più materiale per scrivere "La forza della ragione", e sono stato contento che abbia utilizzato i dati che le ho fornito. Mi menzionava parecchie volte nei suoi libri, dicendo che avevo fatto un lavoro coraggioso e per me è stato un gran complimento. Mi ricordo l'ultima telefonata che abbiamo avuto, circa due anni fa, dove mi disse che i medici le davano cinque mesi di vita. Allora mi gridò: «Non sono loro a decidere quanti mesi mi restano, io ho deciso di vivere ancora due anni, perchè devo scrivere ancora due libri sull'Islam e perchè sono totalmente devota a questa lotta per la sopravvivenza dell'Occidente». E quello che è strano, lei che non era credente, è stata ascoltata da Dio, ed è scomparsa esattamente due anni dopo quella telefonata. Aveva una volontà talmente forte che è sopravvissuta molto di più di quanto dicevano i medici. Diceva: «Più il mio corpo diventa debole, più il mio spirito è forte e più riesco a scrivere cose profonde».



C'è negli scritti di Oriana Fallaci questo concetto di Eurabia che è davvero preoccupante: lei cosa ne pensa?



«Il concetto di Eurabia è stato molto criticato. Quello che si tende a dimenticare è che non fu un concetto suo, lei lo ha solo popolarizzato, ma che è stato espresso da un'ebrea egiziana, una delle massime conoscitrici della Jihad, ora rifugiata in Svizzera. Questa studiosa ha detto che l'Eurabia sarà il futuro dell'Europa che, avendo paura del terrorismo e di finire le scorte di petrolio, si offrirà al proselitismo sunnita in cambio di una specie di protezione. Lei dice che questa concezione ricalca perfettamente lo status dell'infedele in terra islamica, che per essere risparmiato deve sottomettersi e accettare l'assenza totale di reciprocità. Il migliore esempio di Eurabia che posso citarvi è a Roma, dove è stata costruita la più grande moschea d'Europa, ed è una moschea di arabi sunniti. Mi ricordo una discussione con Andreotti a Roma alla fondazione De Gasperi, dove gli chiesi:

«Come mai non c'è stata nessun segno di distensione dopo la costruzione di una moschea voluta dall'Arabia Saudita?», che è uno dei paesi arabi più intolleranti. Lui mi rispose:

«Noi non possiamo chiedere la reciprocità a loro, perchè non la concepiscono». Io dissi allora:

«Ma se non c'è reciprocità non ci può essere neppure amicizia, c'è qualcosa che non va, in Arabia i cristiani vengono perseguitati». E Andreotti rispose:

«Non è un problema che dobbiamo sottolineare, dobbiamo iniziare noi dando l'esempio».

Io condivido lo spirito di questa frase, ma in pratica il problema è che questi sauditi sunniti si approfittano del fatto che i nostri dirigenti non chiedono loro nessuna reciprocità. Almeno Ratzinger ha avuto il coraggio di essere odiato perchè lui vuole la verità, e professa l'amicizia, ma non con gente che non vuole il dialogo. Proprio per questo il Papa ha accettato di andare a Istanbul, anche se nella Turchia attuale i cristiani sono perseguitati. Credo che il nostro Papa sia coraggioso, perchè sottolinea quello che nè Berlusconi, nè Blair, nè Chirac, nè Prodi hanno mai fatto, cioè che stiamo facendo entrare in Europa un paese che non dà nessun spazio di libertà religiosa agli aliviti, agli ebrei, e ai cristiani. Questo è grave: possiamo essere amici con i turchi finchè vogliamo, ma in realtà non ci rispetteranno. Diranno che siamo degli ingenui, dei deboli. Se l'amicizia, ad ogni livello, è fondata almeno su un minimo di rispetto reciproco, tale rispetto non esiste in nessun paese musulmano, neanche in Tunisia, il paese più liberale del mondo arabo».



I rapporti tra popolazione palestinese e israeliana sembrano tornati a quelli di 30 anni fa. Lei pochi mesi fa era in Israele: come vede adesso la situazione?



«Dobbiamo ragionare su come è rinato il conflitto: Israele, dal 2000, ha iniziato il ritiro delle truppe dal sud del Libano, e non aveva più nessun conflitto con Hezbollah. A causa delle attenzioni della comunità internazionale sull'Iran, primo fra tutti l'armamento nucleare, proprio l'Iran ha fatto addestrare e ha messo in marcia il suo braccio armato libanese, Hezbollah, per provocare Israele e creare una trappola mediatica. L'intenzione era di provocare Israele perchè, essendo i miliziani Hezbollah nascosti nelle comunità dei civili, l'esercito avrebbe dovuto adottare una tattica più cruenta, come il bombardamento aereo, che va a colpire anche la popolazione innocente. Come ha sottolineato un rapporto di Amnesty International, la strategia di Hezbollah è stata dichiaratamente provocatoria e contraria ai diritti dell'uomo, ed ha causato tantissimi morti con il solo scopo di attirare l'attenzione dei media sul conflitto. La provocazione è riuscita, ma quello che hanno sottovalutato è stato che la rappresaglia israeliana è stata più efficace del previsto, ha coinvolto anche numerose truppe di terra che hanno stanato e ucciso più di 600 miliziani Hezbollah. Il gruppo armato ora è indebolito, non ha più una sede e il suo capo è costretto a nascondersi. La seconda cosa positiva per Israele è che tutto l'occidente, durante il G8 di San Pietroburgo, ha deciso di appoggiarlo riconoscendo che Hezbollah ha volutamente rinfocolato il conflitto: ora la risoluzione dell'Onu 1701 prevede il suo disarmo. Come se non bastasse, il Governo libanese riconosce in Hezbollah una minaccia: il gruppo ha ormai perso, perchè credeva di essere talmente popolare lottando contro il nemico israeliano che nessuno avrebbe chiesto il suo disarmo. Ma i libanesi non sono stati trascinati nell'odio antiebraico a tal punto da perdonare le distruzioni arrecate al paese a causa dell'errore di Hezbollah. Io direi che finalmente le sorti di questa guerra si sono rovesciate».



Data la situazione molto tesa, c'è il rischio che queste reazioni eccessivamente violente portino gli islamici moderati verso l'estremismo?



«Sono d'accordo nel pensare che la maggior parte degli stati e delle popolazioni musulmane sarebbero, badate bene, sarebbero moderati. Il vero problema è che gli islamici integralisti sanno benissimo che se c'è una causa molto popolare è quella contro Israele, contro il sionismo. Quello che tendiamo a dimenticare è che dopo il 1945 la maggioranza dei nazisti ha trovato rifugio nei paesi arabi, e che nel giro di 50 anni tutte le opere antisemite naziste, come "I protocolli dei saggi di Sion", o il testamento politico di Hitler, il "Mein Kampf", sono diventati dei best sellers nel mondo arabo. Gli integralisti musulmani hanno creato una moda, una tendenza prohitleriana. Se lei va in Turchia oggi, i best sellers sono proprio le opere antisemite, che in Europa può trovare solo nelle librerie di estrema destra, o di estrema sinistra, ma le nostre democrazie hanno di fatto vietato di essere filonazista. Nel mondo arabo, invece, è molto ben visto essere prohitleriano o pronazista, e questo antisemitismo fa si che chi dice "ammazziamo gli ebrei e i crociati fino alla completa sottomissione" venga seguito ed ammirato. Disgraziatamente, anche se in maggioranza sarebbero moderati, i musulmani adottano molto bene questo discorso: il mondo arabo sta vivendo tuttora quella banalizzazione dell'odio razziale che noi abbiamo vissuto negli anni '30 quando la letteratura e il sapere seguivano i dettami dei regimi totalitari. Questo spiega perchè le minoranze sono perseguitate nel mondo arabo».



Sembra che la crescita del terrorismo internazionale sia inversamente proporzionale alla risoluzione del conflitto arabo-palestinese: i due fenomeni sono collegati?



«Il problema palestinese all'inizio era un problema legato al nazionalismo, di un popolo che voleva la sua terra su cui esercitare la propria sovranità. Ora non c'è più soluzione perchè la causa palestinese è diventata una causa islamica integralista: nella carta di Hamas, così come nello statuto dell'Olp di Yasser Arafat, le organizzazioni con le quali le nostre democrazie vorrebbero dialogare, c'è scritto in modo chiaro che bisogna "rifare il califfato, regnare su tutto il mondo, e distruggere i comunisti, i massoni, gli ebrei e i cristiani ovunque nel mondo". Non vogliono solo l'annientamento totale di Israele, ma nella loro mentalità l'ebreo e il cristiano è tollerato solo se è un cittadino sottomesso. Non vedo nessuna soluzione fino a quando le forze progressiste, laiche, nazionaliste non avranno sconfitto gli islamici integralisti. E' vero che dobbiamo aiutare Israele a dialogare, ma credere che l'origine di Al-Qaeda sia nella causa palestinese è un errore fondamentale, perchè la causa palestinese è nata dopo l'islamismo integralista, che a sua volta è nato sotto l'Impero Ottomano. L'islamismo è nato ancora prima della creazione di Israele e non minacciava l'America, bensì i musulmani moderati, come gli antenati di Mustafa Atatürk, fondatore e primo presidente della Repubblica Turca. L'integralismo islamico, prima di tutto, vuole distruggere le forze islamiche moderate o laiche, poi ha preso come pretesto la causa palestinese. Non dobbiamo cadere nella trappola di credere che calmeremo gli integralisti togliendo il nostro appoggio a Israele o abbandonando Bush e ritirandoci dall'Iraq. L'integralismo è come una rivoluzione oscurantista interna, esattamente come il nostro nazismo. Per questo ho coniato il neologismo nazislamismo, perchè gli integralisti islamici sono più nazisti che religiosi, la religione per loro è un pretesto, secondo il quale tutto il mondo dovrà appartenere alla Umma, la società islamica perfetta dei fedeli che deve obbedire alla Shari'a».

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Dopo il discorso di Regensburg: uno strumento per capire

Messaggioda redazione Caritas Ticino » mar ott 17, 2006 2:52 pm

Dopo il discorso di Regensburg: uno strumento per capire

Uno strumento per capire:
Il franco-tunisino Alexandre Del Valle, illustre saggista, geopolitologo, ricercatore alla Sorbona di Parigi e collaboratore di prestigiose testate come Le Figaro, France Soir e Quaderni Geopolitici, è uno dei maggiori esperti a livello internazionale delle tematiche riguardanti il terrorismo e il cosiddetto "scontro di civiltà" tra Islam e Occidente.

E' autore di numerosi e importanti saggi, tra i quali "Il totalitarismo islamico: all'assalto delle democrazie". In occasione della sua recente visita in Italia, durante la quale è stato impegnato in numerose conferenze, ha concesso la seguente intervista a L'Informazione. utile per capire alcuni aspetti degli eventi che ci circondano. -alex

Recentemente, il discorso di Papa Benedetto XVI nel quale ha affermato che "la guerra santa è contro Dio" ha fatto scattare le proteste del mondo islamico. Secondo lei il Papa dovrebbe chiedere scusa?

<Secondo me sarebbe un errore, perchè il Papa non solo non ha detto niente di falso, ma ha detto una cosa che pensano molti fedeli e governi musulmani. Faccio un esempio: la Tunisia, grazie a figure come l'ex ministro dell'educazione, ha vietato nelle scuole pubbliche alcune

sure del Corano o le ha riformate, decontestualizzate, perchè la Tunisia ha capito da molto tempo che se non sradichiamo, se non cancelliamo l'origine teologica della violenza che purtroppo è insita, se non in tutto, ma in alcune parti del Corano, non si può dopo lottare contro quelli che vogliono utilizzare questa violenza in nome di Dio, perchè loro si potranno sempre riferire alla Shari'a, la legge islamica, mai riformata dal secolo decimo, o direttamente al Corano. Il Papa ha solo detto quello che moltissimi musulmani dicono, pensano, e per cui alcuni sono anche morti. Io direi che tutto sta nel problema che questa religione non è stata riformata dal secolo decimo, mentre tutte le religioni, anche la chiesa cattolica, da sempre criticata per il suo oscurantismo, l'ha fatto. Nell'Islam non c'è mai stata discussione, e la reazione violenta degli arabi, dei pachistani e di tutto il mondo islamico, è la manifestazione del problema interno all'Islam, cioè l'assenza dell'autocritica. Nell'Islam c'è l'abitudine di accusare gli altri, gli ebrei, i sionisti, i massoni, i comunisti, gli americani, i liberali, ma mai di fare autocritica; e una civiltà, per quanto possa aver sofferto in passato, non può solamente criticare gli altri. Con il suo discorso, il Papa ha solo voluto aiutare i musulmani a liberarsi dalla loro prigione coranica e shariatica».

Il Vaticano ha poi ripetuto come il concetto di guerra santa sia estraneo allo stesso Corano. Quindi, anche secondo lei non sarebbe un concetto fisiologico nella religione islamica, ma deriverebbe da questo processo di non modernizzazione?

«La violenza è intrinseca nella vita di Maometto, non lo possiamo negare. Il Profeta ha partecipato a 37 combattimenti con la spada in mano, ci sono le sure con le sue gesta, e i musulmani sono molto fieri del fatto che non fu come Gesù, cioè soltanto un uomo di spiritualità, ma fu anche un politico e un combattente. In arabo si dice sempre: "La religione di Maometto con la spada". Quindi non è un'accusa, ma una realtà storica. Ma è anche vero che in qualche corrente islamica modernizzata c'è la volontà di decidere che le gesta violente del Profeta debbano essere riferite all'epoca, storicamente molto violenta, in cui Maometto ha vissuto e lottato. I musulmani moderati dicono che dobbiamo dimenticare l'Islam di Medina, il luogo dove divenne violento, e tornare alla religione degli inizi, esattamente come ha detto Ratzinger. Alla Mecca, nel momento della prima predicazione, Maometto non era violento, perchè era solo, ed era amico degli ebrei e dei cristiani. Io penso che per salvare l'Islam basterebbe contestualizzare, riformare, definire "superate" le sure di Medina, e far prevalere quelle della Mecca. Sarebbe abbastanza facile, è stato fatto in Turchia, in Tunisia, e salverebbe il mondo islamico dalla violenza».

L'integralismo islamico deriva principalmente da questa mancanza di revisionismo o ci sono anche altri fattori scatenanti?

«Più che integralismo musulmano io lo chiamerei totalitarismo, perchè un integralista può essere anche non violento, per esempio come i testimoni di Geova. Il totalitarismo, invece, ha come caratteristica il rifiuto della libertà, il disprezzo della vita e la violenza assoluta contro chi non la pensa allo stesso modo, e riferendoci ad Al-Quaida, ha parecchie radici, ma la principale la trova nell'assenza di riforma nell'Islam sunnita. Anche l'Ayatollah Khomeini, sciita, è stato influenzato da un'organizzazione sunnita, i Fratelli Musulmani, nati negli anni '30 in Egitto, che avevano come scopo il ritorno all'Islam delle origini, prima di quello straordinario influsso di culture che ha fatto nascere l'Islam come lo conosciamo noi oggi. I sunniti dicono che tutto ciò che è fuori dall'Arabia Saudita, fuori dal beduismo dei primi musulmani, è corrotto, infedele: per questo la volontà dei Fratelli Musulmani di tornare alla vita di Maometto beduino con la spada è la radice principale di tutti totalitaristi, che utilizzano sempre la parola "Medina" nei loro proclami. Loro non pensano che l'Islam della Mecca non fosse vero, ma che l'Islam perfetto fosse quello finale, della violenza della Jihad di Medina. Soltanto dopo di questo viene la rabbia anticolonialista, contro il sionismo, Israele e l'occupazione dell'Iraq, ma sono tutti pretesti che legittimano la guerra santa più che darvi spiegazione. L'origine del totalitarismo avvenne molto prima, internamente, per la mancanza di riforme: ma non dimentichiamo che questo sentimento venne rinvigorito dalle colpe dell'Occidente, e la principale fu di aver appoggiato gli integralisti. Ma questo lo scrive Magdi Allam: durante la Guerra Fredda abbiamo accolto e addestrato la maggioranza degli islamisti sunniti che dopo hanno creato Al-Quaida».

Quali sono i rischi concreti che le società multietniche occidentali corrono per gli attentati organizzati da comunità islamiche nate e cresciute al loro interno?

«Il rischio principale è rappresentato dall'ingenuità delle società aperte. Io sono per l'apertura ed il dialogo, ma l'errore che le democrazie europee stanno facendo è dialogare con chi non merita il dialogo. L'associazione italiana dell'Ucoii è il perfetto esempio: è un'associazione patologicamente antisemita, antiebraica, che rifiuta il pluralismo e la laicità. Mi ricordo in un convegno a cui parteciparono il presidente ed il portavoce del movimento, durante il quale chiesero, davanti alle telecamere, la completa islamizzazione dell'Italia, aggiungendo: «Se non ci date più denaro, non vi stupite se creeremo terroristi in Italia». In quell'occasione, minacciò apertamente gli italiani di rappresaglie terroristiche, e ha funzionato: dopo poco tempo l'Ucoii è stato ufficialmente riconosciuto dal Governo italiano. Dunque il rischio principale non è solo il terrorismo islamico, che, in proporzione, colpisce maggiormente i paesi islamici, ma anche dare troppo spazio a questi integralisti falsamente moderati, che non utilizzano come arma il terrorismo, e che sono consci del fatto che si ottiene di più contando sull'eversione dei nostri valori, la falsa moderazione, il doppigiochismo. Il musulmano ha un rapporto con il tempo diverso dagli occidentali: l'Ucoii sa che progredirà a tappe, e che la minoranza musulmana diventerà in futuro maggioranza, complice anche il basso tasso di crescita demografica degli europei, l'assenza di politiche che favoriscano la loro natalità e la mancanza di un controllo efficace dei flussi migratori. Io proporrei di accogliere coloro che accettano i nostri valori, ma di non avere pietà contro chi vuole invaderci in senso politico e ideologico».

Non possiamo non citare la morte di Oriana Fallaci, che ha denunciato con accanimento il problema dello scontro tra civiltà: lei la conosceva?

«Non personalmente, ma eravamo da tempo in contatto: infatti, non condividevo del tutto "La rabbia e l'orgoglio", e glielo dissi: lei allora mi chiese di aiutarla per avere più materiale per scrivere "La forza della ragione", e sono stato contento che abbia utilizzato i dati che le ho fornito. Mi menzionava parecchie volte nei suoi libri, dicendo che avevo fatto un lavoro coraggioso e per me è stato un gran complimento. Mi ricordo l'ultima telefonata che abbiamo avuto, circa due anni fa, dove mi disse che i medici le davano cinque mesi di vita. Allora mi gridò: «Non sono loro a decidere quanti mesi mi restano, io ho deciso di vivere ancora due anni, perchè devo scrivere ancora due libri sull'Islam e perchè sono totalmente devota a questa lotta per la sopravvivenza dell'Occidente». E quello che è strano, lei che non era credente, è stata ascoltata da Dio, ed è scomparsa esattamente due anni dopo quella telefonata. Aveva una volontà talmente forte che è sopravvissuta molto di più di quanto dicevano i medici. Diceva: «Più il mio corpo diventa debole, più il mio spirito è forte e più riesco a scrivere cose profonde».

C'è negli scritti di Oriana Fallaci questo concetto di Eurabia che è davvero preoccupante: lei cosa ne pensa?

«Il concetto di Eurabia è stato molto criticato. Quello che si tende a dimenticare è che non fu un concetto suo, lei lo ha solo popolarizzato, ma che è stato espresso da un'ebrea egiziana, una delle massime conoscitrici della Jihad, ora rifugiata in Svizzera. Questa studiosa ha detto che l'Eurabia sarà il futuro dell'Europa che, avendo paura del terrorismo e di finire le scorte di petrolio, si offrirà al proselitismo sunnita in cambio di una specie di protezione. Lei dice che questa concezione ricalca perfettamente lo status dell'infedele in terra islamica, che per essere risparmiato deve sottomettersi e accettare l'assenza totale di reciprocità. Il migliore esempio di Eurabia che posso citarvi è a Roma, dove è stata costruita la più grande moschea d'Europa, ed è una moschea di arabi sunniti. Mi ricordo una discussione con Andreotti a Roma alla fondazione De Gasperi, dove gli chiesi:

«Come mai non c'è stata nessun segno di distensione dopo la costruzione di una moschea voluta dall'Arabia Saudita?», che è uno dei paesi arabi più intolleranti. Lui mi rispose:

«Noi non possiamo chiedere la reciprocità a loro, perchè non la concepiscono». Io dissi allora:

«Ma se non c'è reciprocità non ci può essere neppure amicizia, c'è qualcosa che non va, in Arabia i cristiani vengono perseguitati». E Andreotti rispose:

«Non è un problema che dobbiamo sottolineare, dobbiamo iniziare noi dando l'esempio».

Io condivido lo spirito di questa frase, ma in pratica il problema è che questi sauditi sunniti si approfittano del fatto che i nostri dirigenti non chiedono loro nessuna reciprocità. Almeno Ratzinger ha avuto il coraggio di essere odiato perchè lui vuole la verità, e professa l'amicizia, ma non con gente che non vuole il dialogo. Proprio per questo il Papa ha accettato di andare a Istanbul, anche se nella Turchia attuale i cristiani sono perseguitati. Credo che il nostro Papa sia coraggioso, perchè sottolinea quello che nè Berlusconi, nè Blair, nè Chirac, nè Prodi hanno mai fatto, cioè che stiamo facendo entrare in Europa un paese che non dà nessun spazio di libertà religiosa agli aliviti, agli ebrei, e ai cristiani. Questo è grave: possiamo essere amici con i turchi finchè vogliamo, ma in realtà non ci rispetteranno. Diranno che siamo degli ingenui, dei deboli. Se l'amicizia, ad ogni livello, è fondata almeno su un minimo di rispetto reciproco, tale rispetto non esiste in nessun paese musulmano, neanche in Tunisia, il paese più liberale del mondo arabo».

I rapporti tra popolazione palestinese e israeliana sembrano tornati a quelli di 30 anni fa. Lei pochi mesi fa era in Israele: come vede adesso la situazione?

«Dobbiamo ragionare su come è rinato il conflitto: Israele, dal 2000, ha iniziato il ritiro delle truppe dal sud del Libano, e non aveva più nessun conflitto con Hezbollah. A causa delle attenzioni della comunità internazionale sull'Iran, primo fra tutti l'armamento nucleare, proprio l'Iran ha fatto addestrare e ha messo in marcia il suo braccio armato libanese, Hezbollah, per provocare Israele e creare una trappola mediatica. L'intenzione era di provocare Israele perchè, essendo i miliziani Hezbollah nascosti nelle comunità dei civili, l'esercito avrebbe dovuto adottare una tattica più cruenta, come il bombardamento aereo, che va a colpire anche la popolazione innocente. Come ha sottolineato un rapporto di Amnesty International, la strategia di Hezbollah è stata dichiaratamente provocatoria e contraria ai diritti dell'uomo, ed ha causato tantissimi morti con il solo scopo di attirare l'attenzione dei media sul conflitto. La provocazione è riuscita, ma quello che hanno sottovalutato è stato che la rappresaglia israeliana è stata più efficace del previsto, ha coinvolto anche numerose truppe di terra che hanno stanato e ucciso più di 600 miliziani Hezbollah. Il gruppo armato ora è indebolito, non ha più una sede e il suo capo è costretto a nascondersi. La seconda cosa positiva per Israele è che tutto l'occidente, durante il G8 di San Pietroburgo, ha deciso di appoggiarlo riconoscendo che Hezbollah ha volutamente rinfocolato il conflitto: ora la risoluzione dell'Onu 1701 prevede il suo disarmo. Come se non bastasse, il Governo libanese riconosce in Hezbollah una minaccia: il gruppo ha ormai perso, perchè credeva di essere talmente popolare lottando contro il nemico israeliano che nessuno avrebbe chiesto il suo disarmo. Ma i libanesi non sono stati trascinati nell'odio antiebraico a tal punto da perdonare le distruzioni arrecate al paese a causa dell'errore di Hezbollah. Io direi che finalmente le sorti di questa guerra si sono rovesciate».

Data la situazione molto tesa, c'è il rischio che queste reazioni eccessivamente violente portino gli islamici moderati verso l'estremismo?

«Sono d'accordo nel pensare che la maggior parte degli stati e delle popolazioni musulmane sarebbero, badate bene, sarebbero moderati. Il vero problema è che gli islamici integralisti sanno benissimo che se c'è una causa molto popolare è quella contro Israele, contro il sionismo. Quello che tendiamo a dimenticare è che dopo il 1945 la maggioranza dei nazisti ha trovato rifugio nei paesi arabi, e che nel giro di 50 anni tutte le opere antisemite naziste, come "I protocolli dei saggi di Sion", o il testamento politico di Hitler, il "Mein Kampf", sono diventati dei best sellers nel mondo arabo. Gli integralisti musulmani hanno creato una moda, una tendenza prohitleriana. Se lei va in Turchia oggi, i best sellers sono proprio le opere antisemite, che in Europa può trovare solo nelle librerie di estrema destra, o di estrema sinistra, ma le nostre democrazie hanno di fatto vietato di essere filonazista. Nel mondo arabo, invece, è molto ben visto essere prohitleriano o pronazista, e questo antisemitismo fa si che chi dice "ammazziamo gli ebrei e i crociati fino alla completa sottomissione" venga seguito ed ammirato. Disgraziatamente, anche se in maggioranza sarebbero moderati, i musulmani adottano molto bene questo discorso: il mondo arabo sta vivendo tuttora quella banalizzazione dell'odio razziale che noi abbiamo vissuto negli anni '30 quando la letteratura e il sapere seguivano i dettami dei regimi totalitari. Questo spiega perchè le minoranze sono perseguitate nel mondo arabo».

Sembra che la crescita del terrorismo internazionale sia inversamente proporzionale alla risoluzione del conflitto arabo-palestinese: i due fenomeni sono collegati?

«Il problema palestinese all'inizio era un problema legato al nazionalismo, di un popolo che voleva la sua terra su cui esercitare la propria sovranità. Ora non c'è più soluzione perchè la causa palestinese è diventata una causa islamica integralista: nella carta di Hamas, così come nello statuto dell'Olp di Yasser Arafat, le organizzazioni con le quali le nostre democrazie vorrebbero dialogare, c'è scritto in modo chiaro che bisogna "rifare il califfato, regnare su tutto il mondo, e distruggere i comunisti, i massoni, gli ebrei e i cristiani ovunque nel mondo". Non vogliono solo l'annientamento totale di Israele, ma nella loro mentalità l'ebreo e il cristiano è tollerato solo se è un cittadino sottomesso. Non vedo nessuna soluzione fino a quando le forze progressiste, laiche, nazionaliste non avranno sconfitto gli islamici integralisti. E' vero che dobbiamo aiutare Israele a dialogare, ma credere che l'origine di Al-Qaeda sia nella causa palestinese è un errore fondamentale, perchè la causa palestinese è nata dopo l'islamismo integralista, che a sua volta è nato sotto l'Impero Ottomano. L'islamismo è nato ancora prima della creazione di Israele e non minacciava l'America, bensì i musulmani moderati, come gli antenati di Mustafa Atatürk, fondatore e primo presidente della Repubblica Turca. L'integralismo islamico, prima di tutto, vuole distruggere le forze islamiche moderate o laiche, poi ha preso come pretesto la causa palestinese. Non dobbiamo cadere nella trappola di credere che calmeremo gli integralisti togliendo il nostro appoggio a Israele o abbandonando Bush e ritirandoci dall'Iraq. L'integralismo è come una rivoluzione oscurantista interna, esattamente come il nostro nazismo. Per questo ho coniato il neologismo nazislamismo, perchè gli integralisti islamici sono più nazisti che religiosi, la religione per loro è un pretesto, secondo il quale tutto il mondo dovrà appartenere alla Umma, la società islamica perfetta dei fedeli che deve obbedire alla Shari'a».

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editoriale rivista Caritas Insieme n.3 2006

Messaggioda roby noris » ven nov 10, 2006 5:44 pm

quale contributo alla riflessione da un punto di vista strettamente mediatico vi propongo l'editoriale della rivista Caritas Insieme n. 3 2006 dal titolo "9/11, Regensburg e altre stranezze dell'universo mediatico"
http://www.caritas-ticino.ch/riviste/el ... oriale.pdf


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