Partendo da un articolo che Fulvio Pezzati ha scritto per il nuovo numero della nostra rivista Caritas Insieme che vi propongo, nasce il desiderio di continuare questa riflessione. In coda alcune segnalazioni bibliografiche interessanti di Bernard Lewis.
link con la versione grafica dell'articolo sulla rivista Caritas Insieme n.4 settembre/ottobre 2004 http://www.caritas-ticino.ch/riviste/el ... 7Islam.pdf
INCONTRARE L'ISLAM
di Fulvio Pezzati
«Dio é morto in Europa?» scriveva Newsweek nell’estate del 1999. Nello stesso periodo il Sinodo dei vescovi osservava «l’ateismo pratico e il materialismo sono molto diffusi in tutta l’Europa: senza essere imposti con la forza, e per lo più nemmeno esplicitamente proposti, essi inducono a pensare e a vivere come se Dio non esistesse». Commentando la situazione André Glucksmann si chiedeva perché l’Europa, caso unico al mondo, é diventata il continente di atei dove si vive «come se Dio non esistesse»? E perché sul resto del pianeta si uccide allegramente in nome dell’essere supremo?
Chi avrebbe immaginato che la cultura europea del «Dio é morto», che in questo é completamente diversa da quella americana, solo cinque anni dopo si sarebbe trovata confrontata con la questione mussulmana? Questione dai molteplici aspetti sociali e politici, ma comunque innegabilmente, eminentemente religiosa. Di fronte all’islam, l’Europa dell’inizio del terzo millennio, é in primo luogo totalmente ignorante, in senso proprio. Di fronte alla rinnovata vitalità di questa religione, questa situazione é assai spiacevole e preoccupante. La nostra conoscenza dell’islam, dei suoi contenuti e della sua storia é praticamente nulla. Ciò ci porta, probabilmente, a commettere dei grossi errori nel confronto geopolitico, come sembrano indicare la situazione in Irak, in Afganistan, ma anche in Cecenia e nel Caucaso in generale ancor più vicino in Bosnia.
Il confronto con l’islam non é solo di natura teologica e geopolitica, distante dalla nostra vita quotidiana (ma non da quella dell’Irak occupato), ma, nel contesto dei nuovi fenomeni migratori, prodotti dai grandi squilibri tra nord e sud e dal miglioramento dei mezzi di comunicazione concreti e virtuali, che non accennano a diminuire, si é spostato anche in Europa, in casa nostra, anche in Svizzera dove vivono ormai circa 100'000 islamici e in Ticino dove ve ne sono circa 6'000. Si poteva pensare che quei grandi normalizzatori, che sono il consumismo e la televisione, avrebbero rapidamente coinvolto anche l’islam nel processo di secolarizzazione. Così però non sembra essere, almeno i quei paesi che non vogliono, o non sono in grado, di condurre una politica di integrazione degli immigrati.
Anche nel confronto quotidiano con le comunità islamiche presenti ormai in tutta Europa, sembriamo disarmati e goffi. Un esempio per tutti é la questione del velo. Che cosa rappresenta davvero il velo per le donne mussulmane? Trenta, quarant’anni fa, anche le donne cattoliche portavano il velo. Facendo di ogni erba un fascio, senza saper fare alcuna distinzione, proponendo leggi come quella francese, che la cultura mussulmana non é certo pronta a accogliere, non stiamo facendo un regalo agli estremisti e ai fondamentalisti?
La questione mussulmana deve essere affrontata a diversi livelli teologico, culturale, politico, militare, ecc. che é bene riuscire a distinguere, ma occorre affrontare anche i problemi molto pratici e quotidiani della convivenza con comunità mussulmane sempre più presenti e che trovano nella comune religione un’importante fattore di identità.
La Svizzera, e il Ticino in particolare, sono stati finora un pò al riparo. Non siamo ancora stati confrontati con il terrorismo attivo e nemmeno con i fiancheggiatori. Le questioni del velo, delle ragazze a scuola, della costruzione delle moschee ci hanno finora sostanzialmente risparmiato. In Ticino in particolare si é dato prova di un certo pragmatismo. I mussulmani hanno potuto avere un loro cimitero a Lugano, senza troppi clamori. A Chiasso vi é una biblioteca mussulmana. I rapporti sono pacifici e soddisfacenti. Ma fino a quando? Non é pensabile che, prima o poi, la questione del velo o quella della moschea o ancor di più quella di una scuola mussulmana non si pongano anche da noi. Sul fronte del terrorismo é possibile che gli estremisti si fermino a Milano, Como, Varese, dove personaggi sospetti vengono arrestati o almeno allontanati con frequenza preoccupante? E la politica estera della Svizzera fino a quando riuscirà a preservarci da terribili attacchi?
Come nella grande politica (l’uso dei mussulmani del Caucaso in funzione anticomunista e antisovietica), anche nella vita pratica la nostra ignoranza arrischia di farci fare la figura degli apprendisti stregoni. Un esempio é stato il recente tentativo di utilizzare la questione mussulmana nell’ambito della campagna di votazione relativa al nuovo diritto delle naturalizzazioni. Una stupidaggine. Certo in campagna elettorale c’é sempre una certa tendenza a esagerare e a fare un pò di demagogia e quindi la portata delle dichiarazioni degli scorsi giorni del Comitato contro il nuovo diritto delle naturalizzazioni non deve essere esagerata, anche perché, quando un comitato politico ricorre a argomenti così manifestamente demagogici e sopra le righe, significa sempre che si sente debole. In demografia le evoluzioni esponenziali non durano mai. Se noi proiettassimo nel medesimo modo i dati relativi all’immigrazione italiana e spagnola negli anni sessanta, oggi in Svizzera il tedesco dovrebbe essere una lingua minoritaria. In realtà l’immigrato si adegua in modo molto rapido alle abitudini indigene quanto al numero di figli. Ma l’uso strumentale della questione mussulmana in un dibattito nel quale c’entra poco o niente, in questo momento é perlomeno inopportuno.
Oggi il confronto con l’islam é geopolitico da una parte e quotidiano dall’altra. E' difficile discutere e ragionare sotto le bombe irachene, cecene o palestinesi, che siano, e in guerra i militari devono fare la loro parte. Ma ciò nonostante l’islam deve essere studiato e capito. Le guerre finiranno, ma il confronto con la comunità islamica in Europa e anche in Svizzera continuerà e é assolutamente necessario riuscire a integrarla. Forse mai come in questo caso la valenza biunivoca del termine integrazione, cioè di reciproco avvicinamento e arricchimento, appare pregnante. Dobbiamo capire che cosa possiamo concedere, ma anche l’islam deve interrogarsi e riflettere. Non é facile per una religione per la quale la separazione tra fede e politica é stata un non-senso e un non-problema fino al novecento e all’apparizione di Ataturk e poi di altri leader, modernizzatori ma tutt’altro che democratici. La legge e la tradizione islamica, come spiega per esempio Bernard Lewis, hanno dedicato per secoli una grande attenzione al problema dei non-mussulmani (gli infedeli) in terra islamica, ma poco o nulla si sono interessate dei mussulmani in terra non-mussulmana. L’islam non ha perciò conosciuto il confronto tra fede e politica, tra religione e ragione. Il processo di secolarizzazione é recente e sembra in regressione. La partecipazione al processo di elaborazione dei diritti dell’uomo, culminato con la dichiarazione dell’ONU del 1948 é stata marginale. Ma la nuova situazione, nella quale le comunità islamiche sono presenti, come componente minoritaria ma importante, in altre società e paesi, impone che anche l’islam si confronti con i diritti dell’uomo, che non possono non essere la discriminante. Questo implica il superamento di qualsiasi reciproca tentazione di considerarsi dei nemici: a livello religioso, politico o culturale, ma anche la necessità di riflettere sulla propria identità. Infatti è solo partendo da un'identità forte che è possibile il confronto. E' difficile per l'islam confrontato con una realtà nuova e è difficile per l'Europa che ha rinnegato le sue radici cristiane.
Segnalazioni bibliografiche di Bernard Lewis trovabili in rete su
http://www.ita-bol.com/bol/main.jsp?act ... tbolmainit
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