Le ragioni delle scelte formali di Caritas Insieme TV

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roby noris
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Le ragioni delle scelte formali di Caritas Insieme TV

Messaggioda roby noris » dom giu 03, 2007 7:29 pm

Dalla rivista Caritas Insieme n.2 2007

SFIDA ALL’ULTIMO BOTTONE DEL TELECOMANDO E ALL’ULTIMO CLICK DEL MOUSE

Le ragioni delle scelte formali di Caritas Insieme TV

di Roby Noris

:D :-D :D Il piacere, la gratificazione e il guadagno sono le nozioni fondamentali su cui si basa la possibilità di apprendere e di approfondire. Valgono per qualunque tipo di comunicazione e a maggior ragione per quella elettronica - TV, online, DVD ecc. - :-D :D :-D

Nella comunicazione, sia con un piccolo gruppo di persone, sia con milioni di telespettatori, quando si tenta di fare dell’approfondimento proponendo tematiche complesse e difficili che richiedono attenzione e concentrazione spesso la reazione è di grande fatica e nel caso dei media di massa si può finire male, distrutti da un’audience bassa che condurrà alla soppressione del programma televisivo.
Ma è possibile comunicare senza che il pubblico faccia fatica o si senta annientato dalla noia quando l’oggetto della comunicazione è un tema di “approfondimento”? Rispondo di sì, solo a condizione che chi fruisce di una comunicazione del genere provi davvero “piacere” e quindi sia cosciente che “ci guadagna”. In questa nozione di “piacere” e di “guadagno” secondo me sta la chiave di volta della comunicazione in generale e credo di tutti i meccanismi su cui si fonda un processo di approfondimento e di apprendimento, in ultima analisi cioè la condizione per un percorso pedagogico fruttuoso.
Sono sempre più convinto che l’esperienza del piacere, del godimento di fronte al fascino del “bello”, siano l’unica strada possibile per stabilire una comunicazione duratura destinata a sviluppare ed elaborare un pensiero intelligente. Contrariamente a una visione moralistica più tradizionale che considera necessario far fatica e soffrire per procedere in un cammino di apprendimento, credo che il provare piacere sia la condizione “sine qua non” per accettare qualunque forma di comunicazione che chieda una grande disponibilità ad approfondire temi e concetti articolati e complessi, e quindi, ad imparare cose nuove.
Tutti probabilmente abbiamo fatto qualche volta l’esperienza di apprendere una quantità notevole di informazioni senza fatica ad esempio perché ci divertivamo a farlo, magari con un gioco o con qualcosa che ci interessava molto. Imparare una lingua ad esempio può essere noioso, faticosissimo e poco redditizio se non ci sono le condizioni favorevoli, ma se ad esempio la nuova lingua da comprendere e saper parlare è quella della persona di cui ci si è innamorati e con cui si vuole comunicare, i tempi di apprendimento, la fatica e i risultati saranno ben diversi. I bambini imparano interagendo coi coetanei nuove lingue senza nessuna fatica pur non applicando strategie metodologiche particolari se non quella di cercare di divertirsi il più possibile giocando.
Mi ha colpito il taglio del messaggio del Papa Benedetto XVI per la domenica delle comunicazioni sociali, qualche settimana fa, quando invitava a far scoprire alle giovani generazioni la bellezza, quindi mettendo l’accento sulla possibilità di ciascuno di scegliere e di cogliere il “bello” a condizione di conoscerne i codici comunicativi; nessuna stigmatizzazione delle derive dei media elettronici da parte del Papa, ma un sostanziale rovesciamento della logica tradizionale con un invito preciso ad adoperarsi affinché si impari a cogliere la bellezza in tutto ciò che si incontra e può essere comunicato.
La logica è semplice: chi può fruire e godere di ciò che è bello rifiuterà o non sarà interessato a ciò che non lo è, perché non gli procura piacere: nessuna autoflagellazione per evitare di cadere vittima dei malefici mediatici ma solo un invito a un percorso di educazione al bello che porterà a ignorare una televisione spazzatura, una stampa mediocre, un cinema di poco valore. L’elemento che mi sembra particolarmente interessante in questo autorevole messaggio è proprio l’idea che il piacere nel cogliere ciò che è bello sia l’antidoto migliore contro una comunicazione priva di valori e di conseguenza che questo percorso pedagogico si fondi su un’esperienza di piacere e di risonanza empatica con la nozione di bellezza.
Senza voler far dire al Papa quel che non ha detto mi sembra inequivocabile la linea tratteggiata di una pedagogia della bellezza e dell’esperienza del piacere e del guadagno personale. Ci guadagno, mi conviene, ne ho piacere, è bello. La fatica o lo stress in questa visione sono praticamente spazzati via come elementi irrilevanti.
Tutto questo però appare strano e contraddittorio rispetto alla cruda realtà dei dati di ascolto delle emittenti o dei programmi di approfondimento e delle esperienze pedagogiche e scolastiche in generale. Dove sta l’inghippo? Mi permetto di dire che tutto giri intorno alla mancanza di piacere, di gratificazione, di esperienza di bello, di esperienza di guadagno personale. Oso dire che se a molti ragazzi la scuola non piace è solo perché “non piace” nel senso più letterale del termine cioè non riescono a fare un’esperienza di piacere che è l’unica che convince del guadagno che potrebbe esserci in quell’esperienza. Ma prima di venir linciato da qualche insegnante inferocito, la cui responsabilità in un giudizio di valore è fortemente mitigata dalla catena infinita di una pedagogia distorta che ha prodotto docenti e allievi frigidi, ritorno al campo che mi è molto più vicino e consono, quello dei media elettronici, per dire sostanzialmente la stessa cosa: se l’approfondimento nei media elettronici, come pure anche su carta, ha un’audience bassa è perché non produce piacere.
Ma si può fare della comunicazione televisiva in generale senza produrre piacere nei telespettatori? È impossibile. Però il piacere nella comunicazione passa attraverso i codici precisi dello strumento prescelto e attraverso le modalità di tradurre e adattare contenuti e contenitori affinché si stabilisca il ponte fra trasmettitori e recettori; e se non si parla la stessa lingua ciò risulta impossibile. Per inciso, il Papa non diceva che i giovani devono cogliere il bello da soli per chissà quale miracolo o per naturale inclinazione ma che i giovani devono essere educati al bello; cioè senza un percorso pedagogico non si accede al piacere di fronte al bello, che senza strumenti adeguati risulta addirittura incomprensibile e quindi invisibile.
Se ogni domenica in diverse chiese si assiste a uno scempio musicale che accompagna la liturgia, è solo perché a quei poveri fedeli non sono mai stati dati gli strumenti adeguati, non tanto per cantare ma per ascoltare la musica cantata distinguendo fra una nobile espressione canora di coristi professionisti che si cimentano in un pezzo gregoriano da una cacofonia di ululati accompagnata da chitarre magari un po’ scordate. Se non ho gli strumenti di conoscenza non vibrerò assolutamente neppure in una splendida cattedrale gotica con l’Hilliard Ensemble che propone qualche meraviglia polifonica di musica sacra, ma troverò invece che i canti in parrocchia sono più orecchiabili e partecipativi. Se non so il tedesco Göthe è irraggiungibile. Se non distinguo l’intervallo di un mezzo tono - o anche solo di quarto e anche meno - sarebbe meglio che mi astenessi dal cantare anche sotto la doccia e non solo in pubblico.
Ma cosa produce la vibrazione delle corde più intime e come avviene questo fenomeno che permette l’emozione e la commozione di fronte a un tramonto, a un passaggio romantico mozartiano o stridente di Berio, al surrealismo come all’iperrealismo, a un saggio di letteratura o a una geniale intuizione scientifica? Credo che questo avvenga quando c’è sintonia fra ciò che vedo o che ascolto, con le aspettative più profonde del mio sistema emozionale-conoscitivo: quando i messaggi mi giungono in un linguaggio che conosco e che quindi permette il confronto con i miei elementi di conoscenza e la mia struttura emozionale, vivo un’esperienza di piacere profondo e gratificante. Di conseguenza mi aprirò a un processo di comunicazione dove giocherò tutte le mie potenzialità di apprendimento e di rielaborazione delle conoscenze, senza provare nessuna fatica e tantomeno stress.
L’approccio ludico all’informatica è un esempio lampante di linguaggio che, pur avendo una sua logica intrinseca molto diversa da altri strumenti comunicativi ed estremamente complessa, permette di aprirsi a un universo di conoscenze e di approfondimento senza fatica apparente. Conosco molte persone che sono entrate giocando in quel mondo e hanno investito energie smisurate per apprendere e migliorare le proprie capacità di comunicazione interattiva con quel mezzo, passando piano senza soluzione di continuità dall’esperienza del gioco alla produzione artistica e scientifica: un investimento inimmaginabile di energia intellettuale spesa con grande piacere e gratificazione, con la certezza di averne un vantaggio, un guadagno. Chi fa i corsi di informatica per adulti per imparare a usare i programmi correnti finisce invece per annoiarsi profondamente e ha dei risultati mediocri.

Su queste considerazioni si fondano le scelte formali della nostra produzione televisiva di Caritas Insieme che da 12 anni propone settimanalmente temi di approfondimento. La sfida costante è quella del telecomando che il telespettatore può usare per disintegrare il nostro tentativo di comunicare, semplicemente cambiando canale, o la sfida sulla rete internet dove con un click del mouse i nostri video non esistono più, ignorati e quindi dissolti nel caos della rete. Fare dell’approfondimento, sostanzialmente parlato, quando non succede nulla di particolare, non c’è quasi mai azione - e tantomeno azione spettacolare - e chi ha cose interessanti da raccontare non sempre buca lo schermo. Questo è il quadretto che settimanalmente da anni affrontiamo chiedendoci come produrre piacere nel telespettatore e nell’internauta che concedono un po’ di attenzione ai servizi di Caritas Insieme ma non sono disposti, giustamente, a farci regali o sconti particolari. Parto dall’idea che la debolezza delle trasmissioni di approfondimento, in fondo il punto nodale riguardo all’audience, è che queste produzioni sono spesso percepite come pesanti, noiose e richiedono grande fatica e sforzi di concentrazione: quindi una serie di caratteristiche che poco hanno a che vedere col piacere. Abbiamo provato allora ad escogitare tutta una serie di accorgimenti formali, possibili col mezzo televisivo elettronico, per creare dinamica e movimento, e in particolare ritmo, articolazione e complessità dell’immagine per creare un’atmosfera in continua evoluzione; abbiamo aggiunto elementi di colore e di grafica, e abbiamo introdotto una visione multiangolo (diverse telecamere filmano contemporaneamente da angolazioni diverse gli stessi personaggi) con una struttura a finestre dello schermo, e abbiamo introdotto un uso ampio di sfondi in 3D fissi o animati, ambientando interamente alcune rubriche in mondi virtuali disegnati col computer. Le scenografie virtuali prendono il sopravvento su quelle reali. Questi espedienti formali non incidono sui contenuti se non perché facilitano numerosi tagli per rendere più scorrevole e senza incertezze il montaggio, ma sono fondamentali per cancellare quelle sensazioni sgradevoli che accompagnano spesso la percezione dell’approfondimento televisivo, come pesante, faticoso e noioso. Mi ha colpito in questo senso costatare che in questi anni molti nostri telespettatori, incontrando il collega Dante Balbo che cura la rubrica “Il vangelo in casa” con l’esegeta Giorgio Paximadi, gli confessano di seguire la sua rubrica con interesse pur non essendo cattolici praticanti; mi sono chiesto perché un telespettatore che non va in chiesa dovrebbe avere interesse per una riflessione esegetica piuttosto difficile per i riferimenti biblici e teologici, e per il livello di approfondimento? Semplicemente perché fa piacere seguirla, perché non appare come faticosa, l’atmosfera virtual-bucolica della barca e del lago disegnati in 3D alleggeriscono la potenziale pesantezza della situazione, perché il tono colloquiale e talvolta scanzonato sdrammatizza l’alone sapiente e ostico che si immagina anche solo pronunciando il termine “esegesi”. Insomma credo che i non praticanti, fedeli alla rubrica “Il vangelo in casa” si divertano e non abbiano per nulla l’impressione di seguire dotte disquisizioni ex cattedra.
Sempre alla ricerca di creare un’esperienza di piacere televisivo, o in rete, a coloro che accettano di seguirci nel nostro percorso di approfondimento di tematiche sociali ed ecclesiali, ultimamente abbiamo realizzato alcune nuove rubriche dove la realtà virtuale e il format grafico sono stati spinti ancora di più oltre i limiti ritenuti normali per l’approfondimento televisivo: La vita allo specchio e l’Isolario. Prendo l’esempio dell’ultimo incontro di Vita allo specchio con suor Chiara Miriam, clarissa, abbadessa di Cademario che parla della vocazione monastica. Una testimonianza che personalmente ritengo straordinaria ma che televisivamente potrebbe anche spaventare il telespettatore medio che distrattamente concede un po’ di tempo per dare un’occhiata ai titoli degli argomenti trattati nella trasmissione. Allora ho pensato di confezionare questa intervista in un modo completamente fuori dagli schemi: un telone verde montato dietro alle sbarre della clausura ha permesso di sostituire elettronicamente lo sfondo dietro a suor Miriam con giochi di colore simili agli effetti psichedelici anni settanta, due telecamere in primissimo piano di cui una fissa e la seconda che si muove senza sosta, creano un movimento continuo in una scena di per sé assolutamente immobile, sguardo di suor Miriam diretto in camera perché sembri a colloquio esclusivo col telespettatore e non col giornalista che scompare completamente. Poco importa se i telespettatori e gli internauti che l’hanno ascoltata fino alla fine della sua testimonianza si siano accorti e abbiano apprezzato gli stratagemmi grafico-elettronici. Ciò che conta è solo che abbiano passato un momento prima di tutto piacevole, in compagnia di una straordinaria testimone, non abbiano cambiato canale e magari per la prima volta si siano confrontati con una posizione affascinante anche se particolarissima e probabilmente non condivisa. Quando si riesce a confezionare testimonianze come queste in un contesto visivo e sonoro completamente fuori dallo schema che il telespettatore si attende, credo si crei inpercettibilmente un’attesa per la novità del contesto, un interesse inconfessato per il contenitore che rende meno faticoso e quindi piacevole l’incontro con il contenuto della testimonianza.
Con Graziano Martignoni, psichiatra, e per noi filosofo, nell’Isolario, il percorso affascinante del suo pensiero intorno al senso dell’esistenza potrebbe spaventare più di un telespettatore, ma credo che il contesto surreale e fantascentifico dell’ambientazione creata in 3D, dove solo il protagonista e la sua poltrona sono reali, lo rendono appetibile e piacevole anche a chi forse non ha tutti gli strumenti per comprendere lo sviluppo di un pensiero straordinario ma anche molto complesso, e in altre condizioni getterebbe la spugna con un click di mouse o con bottone del telecomando. E tutta la battaglia sta lì: se lui non schiaccia il bottone la mia comunicazione continua a esistere e ho vinto io.

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