The White Room: danza, musica, video, per comunicare

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roby noris
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The White Room: danza, musica, video, per comunicare

Messaggioda roby noris » mer set 12, 2007 6:07 pm

Lo spettacolo di danza THE WHITE ROOM e le riflessioni sulla comunicazione non verbale, nella sua trasposizione video DALLE FINESTRE DELLA WHITE ROOM online e in DVD
http://www.caritas-ticino.ch/Emissioni%20TV/rubriche/White_Room.htm

THE WHITE ROOM spettacolo di danza di Manuela Bernasconi era in scena allo Studio Foce di Lugano il 14 e 15 settembre 2007. Ed era in TV a Caritas Insieme su TeleTicino nella sua trasposizione televisiva il 29 settembre 2007. Il video DALLE FINESTRE DELLA WHITE ROOM è online su http://www.caritas-ticino.ch/Emissioni%20TV/600/667.htm.

Il 6 ottobre sempre a Caritas Insieme su TeleTicino è andata in onda una seconda puntata, che prendendo spunto dalla White Room, ha messo a tema la questione dei linguaggi non verbali e la difficoltà nell'utilizzarli per comunicare col grande pubblico. Solo esperienze elittarie o possibilità di avvicinarsi al "bello" con un percorsi pedagogici accessibile a tutti? Quali prospettive?
Il video della trasmissione è online su http://www.caritas-ticino.ch/Emissioni%20TV/600/668.htm


È disponibile il DVD comprendente le due trasmissioni e un Extra con la registrazione (una camera fissa dello spettacolo del 14 settembre 2007 acquistabile online sul negozio virtuale di Caritas Ticino www.catishop.ch http://www.catishop.ch/modules.php?op=m ... n&II=2159&

Dalla rivista Caritas Insieme n.3/4 dicembre 2007
http://www.caritas-ticino.ch/riviste/el ... online.htm
l'articolo sul tema della comunicazione non verbale "Parlare senza parole. Dalla White Room a Rhythm is it"
http://www.caritas-ticino.ch/riviste/el ... parole.pdf


DAL GdP del 8.9.07 a pag. 24

DANZA “White room”: l’esordio di una giovane coreografa ticinese
Nella “Stanza bianca” il peso di una vita perfetta
di MANUELA CAMPONOVO
Vive a Lugano, è coreografa e danza­trice, ha aperto una sua piccola scuola, la “Urban dance”, nel 2007 ha creato la propria compagnia “Desi­derando Dance Company”, si appre­sta a debuttare con la sua prima crea­zione “ The White Room” (il 14 e il 15 settembre al Teatro Nuovostudiofoce) e ha solo venticinque anni. Abbiamo incontrato Manuela Bernasconi, que­sto giovane talento in ascesa, per far­ci raccontare il suo precoce percorso.
Quando, per la prima volta, hai pen­sato: «voglio danzare. È questo che vo­glio fare nella mia vita»?
Studio danza fin dall’età di sei an­ni e ho iniziato con la danza classi­ca e il modern jazz. Ma parallela­mente suonavo anche il violino. Non avevo idea di cosa avrei scelto tra il ballo e la musica... Decisivo, do­po il trasferimento della mia famiglia da Friborgo a Lugano, è stato l’in­contro, nella scuola di Belinda Wick, con Katherine Campbell, un’inse­gnante americana di modern jazz.
Lei mi ha avvicinato, in particolare, a questo genere e mi ha portato ne­gli USA, dove durante l’estate ho fre­quentato corsi intensivi. A questo punto, a circa sedici anni, ho deci­so di prendere la strada della danza a livello professionistico.
Dove ti sei perfezionata?
Ho seguito corsi in Italia, a Milano,
stage in Francia, in Croazia e in Ame­rica. Poi mi sono iscritta all’Accade­mia SPID di Milano una scuola pri­vata multidisciplinare: in tre anni, ol­tre ai generi consueti, classica, mo­derna, jazz, la scuola mi ha prepara­ta anche in tip tap, flamenco, hip hop, danza acrobatica, canto, recita­zione.
Non hai una predilezione per un gene­re?
Si, il modern jazz, ma oggi un balle­rino, confrontato con una concor­renza spietata, deve avere una base solida e sapere far di tutto. Tanto è vero che appena uscita dall’Accade­mia ho lavorato con la Compagnia della Rancia. Questo mi ha permes­so di raggiungere una maggiore completezza lavorando anche con canto e recitazione. Ma dal terzo an­no di Accademia già insegnavo, pri­ma a Milano, poi nel Ticino. Qui, da un anno e mezzo, ho aperto una pic­cola scuola, la Urban dance, dove in­segno appunto modern jazz per bambini e per adulti, livello per principianti, intermedi.
Quando hai deciso di “metterti in pro­prio”?

È stato il ballerino russo Dmitri Chabardin, mio mentore e diretto­re dell’accademia SPID a dirmi: «Adesso, fai un tuo spettacolo». L’ho preso in parola, anche perché il musical non mi dava quello che de­sideravo; facevo tante audizioni ma non riuscivo a trovare una compa­gnia che mi piacesse sui piani, al tempo stesso, del contenuto e dello stile... Per me la danza è un linguag­gio che non può limitarsi ad un di­scorso estetico, ma deve essere so­stenuta da un concetto. Così ho ini­ziato a lavorare al primo progetto che non è andato a buon fine, per la mia inesperienza, diciamo così, “im­prenditoriale”: richiedeva un budget troppo alto e non sono riuscita a tro­vare i finanziamenti necessari. Mi sono allora iscritta alla facoltà di “Scienze della comunicazione” del-l­’USI, per completare la mia forma­zione. Cercavo finanziamenti, stu­diavo danza... Finché ho fatto un corso di sociologia della comunica­zione sulla quotidianità e la routine con il prof. Jedlowski, da cui ho pre­so ispirazione per questo nuovo progetto...
Allora entriamo nello specifico...
Con il musicista Paolo Paone, con cui ho formato anche la Desiderando Dance Company, ho ideato la colon­na sonora. Nel frattempo sono riu­scita a trovare un finanziatore priva­to e il sostegno della Città di Luga­no. Questo mi ha permesso di anda­re avanti nella preparazione: Pier­franco Sofia ha realizzato le sceno­grafie, abbiamo potuto assumere le ballerine professioniste per comple­tare il cast (oltre a me, in scena, ci so­no
Stefania Briganti e Ilaria Cottali).
Lo spettacolo si avvicina al genere “teatro-danza”?
Effettivamente, dietro c’è una storia, un copione, e gli interpreti, oltre a danzare, rivestono ruoli precisi, con parti di mimica e gestualità. Come suggerisce il titolo, The White Room,
al centro c’è una stanza completa­mente bianca che viene pubbliciz­zata attraverso uno spot (fanno par­te dello spettacolo anche video­proiezioni) come soluzione alterna­tiva ad una vita insoddisfacente perché bombardata dai prodotti, da un sovraccarico di possibilità di scelte che provocano un eccesso di desideri e, quindi, l’impossibilità di soddisfarli tutti... In questa stanza astratta, senza contatti, immersa nell’ordine di pochi oggetti dai vo­lumi schematici, è possibile condur­re una vita programmata nell’alter­narsi di piccoli piaceri quotidiani, bere un caffè, vedere un po’ di tele­visione, anche se lo schermo tra­smette solo l’immagine di chi guar­da, fare ginnastica, accudire un fio­re. Minimi gesti quotidiani, che si ri­petono sempre uguali. La ragazza che vive qui è assistita da due inser­vienti che hanno il compito di man­tenere tutto a posto. Ma ad un cer­to punto succede qualcosa: i due in­servienti decidono, ognuno per con­to proprio, di iniziare a spostare gli oggetti, per rompere la routine, ma la ragazza va in panico e si paraliz­za... Non svelo il finale...
Qual è il tema portante?
Volevo gettare uno sguardo ironico su uno dei paradossi della vita quo­tidiana: noi siamo attratti, insieme, dall’ordine e dal caos, dalla stabilità e dal cambiamento, dalla necessità di prevedere tutto ma anche dal bi­sogno di imprevedibilità. Voglio far risaltare - anche con un sorriso, per­ché ci sono anche effetti comici ­questo gioco degli opposti: la routi­ne ti dà punti di riferimento, ma se questi formano uno schema troppo rigido, sorge l’esigenza di evadere. Se i punti di riferimento spariscono del tutto ci sentiamo persi; se ne abbia­mo troppi siamo persi ugualmente... Allora che fare? Direi che sorridere della nostra natura paradossale è il miglior modo per prenderne co­scienza e vivere serenamente, man­tenendo saldi i nostri punti di rife­rimento, ma aprendo il nostro sguar­do sul mondo.

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