Messaggioda redazione Caritas Ticino » mer feb 06, 2008 5:19 pm
Omelia del Vescovo mons. Pier Giacomo Grampa
Gordola, mercoledì 6 febbraio 2008
Funerali Damiano Tamagni
(Letture: Romani 6,3-9; Giovanni 11,17-27)
1. Di fronte al mistero della morte e della sofferenza le parole non sono sufficienti per superare lo sconcerto del cuore, tanto meno lo sono di fronte a questa morte assurda e sconvolgente.
Le parole sembrano perdere forza e le labbra tendono a restare mute. Si vorrebbe solo piangere. Ma ogni essere umano si interroga di fronte alla morte. Nei nostri cuori, infatti, fin dall’inizio, è stato impresso il desiderio di una vita senza fine. Noi sentiamo che il nostro traguardo ultimo non può essere la morte, ma la vita. Per questo ogni volta che incontriamo la morte sul nostro cammino ci sorprende e ci sconvolge. La morte sembra soffocare quell’anelito a vivere per sempre, che ogni uomo e donna, creati ad immagine di Dio, sorgente e compimento della vita, avvertono nel profondo del cuore. Tanto più in questa circostanza, contraria ad ogni umana ragionevolezza e ad ogni legge biologica
Una sola è la parola in grado di gettare un raggio di luce sulle tenebre che circondano la morte, in particolare questa morte.
Noi crediamo che la risposta agli interrogativi, che di fronte alla morte si alzano come grida verso il cielo, ci è data in Cristo, morto e risorto, e nella sua parola che non passa. L’anelito del nostro cuore ritrova luce e conforto nella parola di Colui che ha detto:
“Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno” (Gv 11,25-26).
Vorrei che tutti potessimo comprendere come l’unica luce che non tramonta sul nostro cammino, anche nei giorni più oscuri, è la parola di Dio, che mai passa e mai delude.
2. E’ il primo messaggio che ci viene da Damiano, dalla sua morte assurda, che non riusciamo ad accettare. E’ la risposta più radicale, ma è anche l’unica concreta, che non ci fa perdere il contatto con lui: credere che Damiano vive; è vivo in un’altra dimensione, è in una nuova realtà, così che il nostro rapportarci con lui continuerà ad essere vivo, a rimanere intenso, ad accompagnare i nostri giorni nell’attesa del ricongiungimento con lui.
Dice Gesù: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà”. Noi vogliamo credere, come Damiano credeva; gli chiediamo di aiutarci a superare i dubbi, a vincere l’angoscia e la disperazione che scuote i nostri cuori, a diradare le nebbie e le oscurità che mettono in rivolta il nostro spirito.
La sua morte umanamente disperante diventa così un annuncio di vita, una provocazione alle nostre superficialità, un richiamo alle ragioni vere e profonde dell’esistenza.
Fuori da questa visione c’è spazio solo per l’assurdo, la rabbia, la disperazione.
“Chi crede in me anche se muore, vivrà”.
Il senso dell’affermazione non è la garanzia di una perennità della vita fisica, ma va ricercato nell’espressione “vita eterna”. Gesù è molto chiaro sul fatto di non lasciare illusioni a proposito della morte corporale, alla quale anche chi crede andrà incontro.
Essa però per il credente non sarà totalmente distruttiva; costituirà un passaggio, per quanto oscuro, una trasformazione per quanto dolorosa, verso quel dono di vita traboccante, che la fede ha già arrecato in colui che crede.
3. Un saluto lasciato sul luogo del calvario di Damiano diceva: “Dami sempre con noi”. E’ promessa certo sincera, desiderio generoso, ma conoscendo la fragilità e l’effimero che guida il cuore dell’uomo, questo nostro auspicio si realizzerà solo se noi sapremo essere sempre con lui, solo se lo sapremo incontrare là dove lui è.
Non basta credere a un’idea generosa, a un’astrazione, affidarsi a un sentimento per quanto nobile e grande. Bisogna credere in una persona viva e concreta: Gesù. E’ lui che dona la risurrezione. L’aveva detto più volte: “Chiunque crede in me, io lo risusciterò nell’ultimo giorno”, ma Gesù usa qui un’espressione ben più sorprendente, che non si trova da nessun’altra parte, in nessun’altra proposta religiosa, quando dice: “Io sono la risurrezione e la vita”.
Gesù non è soltanto colui che concede la risurrezione e la vita, lui stesso, in persona, è la risurrezione e la vita. Essere cristiani vuol dire credere, come ci insegnava San Paolo, che “Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più alcun potere su di lui” (Rm 6,9).
La risurrezione di Cristo è l’unica risurrezione da cui derivano, in cui si fondano tutte le altre. Egli è il Risorto per eccellenza; tutti gli uomini che risorgeranno lo faranno in lui e per lui. Credere in Gesù risorto è aderire a lui e quindi aderire alla sua risurrezione, già ora, sentendolo vivo e presente nella nostra vita.
Damiano sarà sempre con noi, se noi saremo sempre con lui, dove lui è, come lui è : risorto in Cristo.
Solo se avremo questa fede viva, concreta, diretta, potremo superare l’angoscia che questa morte ci procura.
4. C’è ancora una domanda che si agita nel nostro cuore e lo turba. L’aveva espressa uno dei suoi amici: “Perché proprio lui?”. E rispondeva: “Non so. Non c’è un senso”. Non posso non raccogliere questo interrogativo inquietante sul senso di quello che è successo, per ribadire che davvero, umanamente, questa tragedia è senza senso. E’ frutto di comportamenti privi di senso, ci pone drammaticamente di fronte al non senso della vita, al limite del non essere di cui siamo noi pure impastati come creature finite e limitate. Ma si fanno cose senza senso, quando non si sa dare un senso alla vita.
Damiano aveva saputo dare alla sua pur giovane esistenza più di un senso positivo, generoso, impegnato. Coltivava tanti ideali, aveva traguardi precisi e alti da realizzare, era motivato da valori grandi e nobili.
Scaturivano dalla sua famiglia, dalla sua educazione crstiana, dai suoi progetti, dal desiderio di servire il paese, di raggiungere una professione interessante e utile per tutti, di impegnarsi per il bene comune. Purtroppo per l’oscura lotta del bene col male, per l’apparente trionfo del male sul bene, delle forze del nulla su quelle della virtù, ha dovuto soccombere, lasciandoci però questo interrogativo più che mai ineludibile: la vita allora è senza senso? Dobbiamo rassegnarci al trionfo del non senso? E se c’è un senso, qual è il senso della vita? Quello derivatoci dai valori e dalle virtù che Damiano ci ha proposto e ci lascia come esempio e provocazione, oppure il senso della vita è la violenza stupida, l’indifferenza egoista, l’interesse particolaristico, addirittura l’odio?
Questa sua morte è un invito a riflettere sui comportamenti senza senso, sulle cose alle quali non sappiamo dare un senso, sulla vita che deve avere un senso, ed un senso umano, un senso divino, altrimenti non è vita.
Troppo spesso i nostri giovani si imbattono in profeti del nulla, che non hanno niente da dire all’uomo come uomo, perché possa rispondere ai problemi fondamentali della sua esistenza, alle domande di senso sul valore della vita e sui comportamenti che soli la rendono umana e responsabile; ma questo nulla lo dicono con grande impegno e dovizia di mezzi; annunciatori aggressivi del vuoto esistenziale, che cercano di mimetizzare con lo scintillio di proposte effimere, leggere, inconsistenti, portatrici di una cultura del niente, che diviene cultura di morte.
Damiano aveva il senso cristiano della vita, dove l’umano è impegnato a realizzarsi in pienezza unendosi col divino, il tempo viene proiettato nel compimento dell’eterno.
E’ il secondo messaggio che dobbiamo raccogliere dal sacrificio di Damiano; l’invito a dare un senso umano, un senso divino, un senso cristiano alle nostre storie fragili e precarie, un senso dove l’umano si incontra col divino nelle nostre vite e nelle nostre esistenze.
Lo dico in particolare agli amici di Damiano e ai giovani presenti.
Non bastano le proteste e le contestazioni, non bastano la rabbia e l’indignazione, bisogna costruire la vita su valori forti, positivi, coerenti, sui valori della nostra storia e tradizione cristiana che richiedono conoscenza, impegno, sacrificio e generosità, non vendetta.
Occorre un senso morale serio e coerente, se vogliamo porre un freno alla violenza, alla prevaricazione, alla stupidità senza un motivo e senza ragioni.
E’ giusto chiedere allo Stato che ci assicuri legalità e ordine, ma prima ancora sono i cittadini a dover porre le basi per una società nuova e diversa.
5. Preoccupato di aiutare le nuove generazioni a dare un senso alla vita, ho scritto la mia ultima lettera pastorale sull’emergenza educativa oggi, dal titolo quanto mai significativo: “Figlio, perché hai ci hai fatto questo?”.
La domanda mi si agita nella mente e nel cuore ed emerge implacabile per gli autori del gesto omicida: “Perché avete fatto questo?”.
Come ultimo messaggio di Damiano vi propongo questo interrogativo angosciante, che ci accomuna tutti. Inquieta certamente la coscienza dei genitori degli autori di quell’atto senza senso; lo cogliamo sorgere sulle loro labbra pure disperate: “Figlio, perché ci hai fatto questo?”. Vorrei che risuonasse nella coscienza di ognuno di noi, perché comunque non può restare impunito un comportamento tanto efferato, che esige giustizia.
Lo richiedono in un messaggio pieno di dignità e di equilibrato, concreto senso umano e cristiano la sorella e i genitori di Damiano. Siano ascoltati tanto nella loro richiesta di evitare ogni strumentalizzazione del loro dolore per fomentare odio e razzismo, quanto nell’impegno a porre fine a questa cultura di violenza assurda.
Anche se la giustizia non ci potrà ridare Damiano, si prendano i provvedimenti dovuti secondo giustizia, consapevoli comunque che solo l’amore può risolvere alla radice i problemi di una vera convivenza sociale, di cui è stata una dimostrazione eloquente la marcia silenziosa di domenica pomeriggio.
La città di Locarno ha così dimostrato la sua maturità ed il suo senso civico, la sua capacità di solidarietà e la volontà di voltare pagina, senza dimenticare, ma indicando le scelte che sole possono far crescere un’autentica convivenza.
Ho parlato di amore, perché questo era l’atteggiamento di fondo che Damiano aveva verso la vita e quindi verso il prossimo.
Lo ha dimostrato anche con il gesto generoso della donazione degli organi, che salveranno la vita a cinque persone.
Un gesto che dice la nobiltà e l’altruismo suo e dei suoi cari, in sintonia con quanto ci suggerisce il Vangelo: quello che avrete fatto ad uno di questi miei fratelli l’avrete fatto a me.
E sono convinto che solo l’amore può dare senso compiuto anche a questo suo sacrificio e risolvere i problemi di convivenza in un paese che voglia ancora dirsi cristiano.
L’amore non esclude la giustizia, ma ci fa guardare oltre, ci propone il perdono.
Parola difficile da pronunciare, ancora più difficile da realizzare. Eppure ritengo sia questo l’ultimo messaggio che viene da Damiano, dal suo cuore nobile, generoso, aperto e cristiano.
Ogni discepolo del Signore crocifisso, che non dimentica mai di essere stato salvato dalle sue colpe per la misericordia del Padre, non può non perdonare, se vuole con coerenza continuare a dirsi cristiano, liberandosi da ogni risentimento.
Vinciamo ogni tentazione di vendetta e di violenza, di grettezza e di paura.
Lavoriamo assieme: Famiglia, Chiesa, Scuola, Stato e Società con i suoi mezzi di informazione per rispondere in modo adeguato e forte ai problemi posti dall’emergenza educativa.
Damiano, grazie, non sia banale dire che ci mancherai, e anche che hai rappresentato tanto e ci hai dato molto, tutto, nel breve volgere dei tuoi 22 anni.
Ci hai dato più di ogni altra esperienza di vita.
Grazie, Damiano, fa che viviamo sempre in te, che sappiamo vivere come hai vissuto tu: con lo stesso slancio, la stessa voglia, il medesimo amore. Damiano, Grazie.