PO e PIP (programmi occupazionali) ancora validi?

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roby noris
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PO e PIP (programmi occupazionali) ancora validi?

Messaggioda roby noris » gio dic 21, 2006 2:08 pm

una riflessione sull'utilità dei programmi occupazionali di Caritas Ticino e la sua filosofia dal 1988 per lottare contro la disoccupazione delle fascie di disoccupati maggiormente a rischio di emarginazione è stata presentata a
Caritas Insieme TV del 9/10 dicembre 2006 http://www.caritas-ticino.ch/Emissioni%20TV/600/625.htm (video http://88.198.43.34/cati/emissioni/cain ... vonoHQ.wmv )
GdP del13.12.2006pag.2
editoriale della rivista Caritas Insieme n4 2006 appena uscita http://www.caritas-ticino.ch/riviste/el ... oriale.pdf (sommario rivista http://www.caritas-ticino.ch/riviste/el ... online.htm )



dal GdP 13.12.2006

LAVORO Lo sfogo dopo i tagli ai programmi occupazionali
Caritas: «Per il Cantone non siamo più un partner»
Il direttore Roby Noris critica i funzionari cantonali di praticare una politica occupazionale basata solo sulle cifre nude e crude e non sui progetti a lungo termine.
di NICOLA MAZZI
I programmi occupazionali della Caritas non piacciono al Cantone. È questa l’idea che si è fatto il direttore di Caritas-Ticino Roby Noris e che esprimerà per esteso nel suo editoria­le sul nuovo numero della rivista 'Ca­ritas Insieme', in edicola nei prossimi giorni. I programmi d’inserimento professionale dell’assistenza (PIP) do­po 10 anni dal loro avvio vanno infat­ti verso la chiusura. Motivo? Per i re­sponsabili cantonali hanno un tasso di ricollocamento (che è attorno al 5 per cento) troppo basso.
Visto le grosse problematiche sociali di cui sono portatrici le persone disoc­cupate in assistenza, secondo Noris questi programmi sono invece «mol­to utili in quanto il bagaglio acquisito è fondamentale per poter riprendere i ritmi di vita normali e riattivare le competenze. Insomma aiutano i di­soccupati a ricominciare a credere in loro stessi e a riprendere i ritmi di vi­ta normali, con dignità, in un conte­sto sociale che esclude facilmente chi non rientra negli schemi».
Ma non basta. Il dispiacere più gran­de per Noris deriva dal fatto che «ne­gli ultimi anni su questo tema ci è mancato un partner pensante. Il Can­tone è disponibile a darti denaro quando ne ha o a dartene meno quando non ne ha, ma non ha un pen­siero comune per il reinserimento del disoccupato nel mondo del lavoro. Un tempo – continua Noris – quando io ho iniziato, era tutta un’altra storia. A quell’epoca c’erano dei funzionari statali coi quali si poteva collaborare. Ricordo con nostalgia i primi anni dei nostri programmi occupazionali quando pianificavamo le attività insie­me ai responsabili del Cantone. Ave­vamo potuto rischiare l’acquisto di un’azienda orticola da 2,5 milioni sul Piano di Magadino per inserire i disoc­cupati senza formazione. Ora purtrop­po non è più possibile».
In altre parole il direttore di Caritas Ti­cino è deluso più che dal mancato fi­nanziamento ai PIP dall’atteggiamen­to del Cantone in questi anni. «Proprio così. Non sto piangendo la solita mi­seria dell’organizzazione alla quale so­no stati tagliati i sussidi statali, ma de­nuncio una mancanza di interesse a risolvere un problema come la disoc­cupazione. Ovviamente noi abbiamo la nostra filosofia sull’impiego dei di­soccupati, ma siamo sempre stati aperti alla discussione» conclude No­ris. Il problema è però che per dialo­gare bisogna essere in due e secondo Noris in questi anni è mancato un partner (si pensa soprattutto alla Di­visione dell’azione sociale e alla Sezio­ne del lavoro) che abbia interesse a ri­pensare assieme gli obiettivi sociali, le prospettive socioeconomiche e la me­todologia d’intervento.


editoriale della rivista Caritas Insieme n4 2006

I PO e i PIP di Caritas Ticino servono ancora?

di Roby Noris

La domanda provocatoria sull’utilità dei nostri Programmi Occupazionali nasce dalla constatazione che al Cantone i nostri programmi interessano sempre meno. Sui due fronti dei programmi, quello dei disoccupati in assistenza (Legge Cantonale LAS) e quello dei disoccupati che hanno ancora diritto alle indennità (Legge Federale LADI) si “tagliano” posti per inserire i disoccupati. È ormai un trend che si consolida di anno in anno. Ma questa volta il responsabile per i programmi PIP (Programmi di Inserimento Professionale dell’assistenza) senza mezzi termini ci ha detto letteralmente “dopo dieci anni è evidente che i PIP non servono” e quindi si va verso la loro chiusura definitiva. La sua decisione, senza possibilità alcuna di replica, l’ha motivata col tasso troppo basso di ricollocamento, mediamente il 5%. Evidentemente a nulla serve ribattere che le persone disoccupate in assistenza sono spesso portatrici di grosse problematiche sociali per cui noi consideriamo già un successo se alcuni possono così reinserirsi nel mercato del lavoro ma che per gli altri partecipanti ai PIP il bagaglio acquisito in quel periodo di programma è utilissimo per poter riprendere ritmi di vita normali, riattivare competenze perse durante anni di curricoli disastrati, ricominciare a credere di essere in grado di lavorare, riprendere un proprio posto, con dignità, in un contesto sociale che esclude facilmente chi non rientra negli schemi. E inutile tentare di ribattere che alla collettività costa di più, in costi sociali e della salute, un disoccupato che rimane a casa a far niente di quanto costi il suo inserimento in un PIP. Inutile spiegare che inserire disoccupati in attività utili alla società e inserite nel mercato come il riciclaggio industriale permette di riacquistare fiducia in se e di ritrovare competenze tecniche e sociali. La testimonianza di alcuni dei nostri operatori che da anni gestiscono i programmi occupazionali è andata in onda a Caritas Insieme su TeleTicino il 9/10 dicembre ed è online. Ma tutto questo è irrilevante per chi considera solo quanto ci guadagna, o quanto risparmia, all’interno del suo dipartimento in termini di costi e ricavi: il bene più ampio di un individuo e quello della collettività, fosse anche solo in termini meramente economici, non interessa perché difficilmente calcolabile e soprattutto computabile in una voce di bilancio. Strano in fondo che gli stessi funzionari si commuovano invece di fronte ad anacronistiche forme assistenzialiste come le mense dei poveri e le banche alimentari e le difendano come le vere risposte della comunità alle sfide della povertà. È evidente che se siamo esclusi da un rapporto di partenariato e ridotti solo a un’entità con cui il Cantone può stabilire forme contrattuali tecniche disdicendole quando non interessano più, le ragioni non sono solo economiche ma ideologiche e soprattutto metodologiche. Parliamo lingue diverse.
Sul fronte dei PO (o POT Programmi secondo la Legge Federale LADI gestiti cantonalmente) le cose non vanno meglio anche se nessun funzionario è venuto ancora a dirci esplicitamente che i nostri Programmi Occcupazionali non servono. Ma i tagli si son fatti sentire pesantemente e senza nessuna ragionevole giustificazione: 10 posti in meno per i disoccupati nella sede di Pollegio nel 2007. Noi però attualmente abbiamo il programma completamente occupato, la flessione avuta nei mesi primaverili e estivi quando i funzionari hanno fatto la prima valutazione di ridurre i posti probabilmente non si ripeterà, ma tutto questo non conta, la decisione è presa ed è stata ribadita in una lettera che chiude qualunque possibilità di replica. Ma anche qui la questione di fondo prima di essere di ordine finanziario è di metodo, di impostazione e di scelte di attività del programma, che sostanzialmente non interessano. Se noi facessimo intrecciare cestini intorno a un tavolo tutto il giorno ai nostri disoccupati per il Cantone andrebbe bene purché il tasso di reinserimento rimanga il 30% dei disoccupati nel mercato del lavoro. Abbiamo saputo persino che i nostri lunghi rapporti annuali non vengono letti se non per quanto riguarda le tabelle dei dati tecnici e finanziari del PO perché tutte le considerazioni di ordine sociale e metodologico non interessano. Non siamo dei partner ma solo dei richiedenti di sussidi della LADI, e quando tentiamo di difendere l’impostazione imprenditoriale dei nostri programmi come mezzo fondamentale per aumentare la collocabilità dei nostri disoccupati, i funzionari ci scrivono (lettera ricevuta qualche giorno fa’) che anche altri programmi riescono a collocare le stesse nostre percentuali, come dire “non pensate di fare qualcosa di speciale perché l’unica cosa che conta, la percentuale di ricollocamento immediato, altri la raggiungono proponendo attività che di imprenditoriale non hanno molto”.
Forse fra qualche anno i PO e i PIP non ci saranno più o ne rimarrà qualcuno di stampo assistenzialista con attività inutili dove non ci sono mai problemi visto che rendimento e produttività risultano categorie astratte. Ma a perderci sarà uno stato sociale che in una realtà come quella elvetica potrebbe permettersi di essere un modello trainante dal profilo metodologico per altre realtà europee e non un ricco fanalino di coda.
Intanto la piccola Caritas Ticino proverà come sempre a combattere la sua donchisciottesca battaglia, con qualche centinaia di migliaia di franchi in meno ogni anno fra sussidi cantonali e diminuzione dei ricavi delle attività derivanti dalla diminuzione di manodopera inserita nei programmi. Le infrastrutture infatti non si possono diminuire a fisarmonica ogni anno secondo le fluttuazioni imposte dal Cantone e quindi i tagli di posti per i disoccupati e le conseguenti diminuzioni di produttività non corrispondono affatto a riduzioni di costi che invece rimangono sostanzialmente gli stessi. Chi pensa i termini economici e di sana economia sociale queste cose non fa fatica a capirle.
Forse riusciremo a farcela, come abbiamo già fatto in altre circostanze analoghe, riorganizzando tutta l’attività, o trovandone altre, o massimizzando ancora i profitti, cercando qualche angolo dove la riduzione dei costi sia realistica. Perfettamente coscienti che solo con una situazione finanziaria solida ci si permetterà di portare avanti la nostra filosofia, la nostra scomoda lettura della realtà sociale, economica e politica, come è stato negli ultimi due decenni.
Ma anche se la preoccupazione finanziaria è prioritaria, ciò che amareggia di più è l’assenza di un partner che abbia interesse a ripensare con noi gli obiettivi sociali, le prospettive socioeconomiche, la metodologia di intervento.
Ricordo con nostalgia i primi anni dei nostri programmi occupazionali nati nel 1988, quando pianificavamo le attività con i responsabili del Cantone, non ci davano più soldi di oggi, ma eravamo partner pensanti che perseguivano obiettivi comuni.
Con questa forza, non soldi ma sintonia sugli obiettivi, si sarebbero potuti fare dei passi straordinari a favore delle persone da reinserire nel mondo del lavoro.

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la parola ai testimoni

Messaggioda roby noris » gio gen 25, 2007 1:30 pm

a Caritas Insieme TV di sabato 27 gennaio 2007 , anche online naturalmente, un servizio con tre testimonianze di disoccupati inseriti nel programma occupazionale di Caritas Ticino a Lugano, che attestano il valore aggiunto che questa esperienza porta a coloro che sono esclusi dal mercato del lavoro, sia che ritrovino in quel periodo un nuovo posto, sia che ritrovino il coraggio di continuare alottare.

Sommario della trasmissione http://www.caritas-ticino.ch/Emissioni%20TV/600/632.htm

x vedere direttamente il servizio col PC http://88.198.43.34/cati/emissioni/2007 ... anzaHQ.wmv
x vedere direttamente il servizio col Mac http://88.198.43.34/cati/emissioni/2007 ... anzaHQ.mov


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