Messaggioda Dante Balbo » ven nov 26, 2004 9:39 pm
come promesso, ecco qua l'articolo postatoci da Carlo Silvano.
LA SOFFERENZA SPIEGATA AI GIOVANI
“L’umanità di Gesù è divina! Ed è la via indicata ad ogni uomo che può così mettersi alla scuola di Gesù per imparare a vivere secondo la volontà di Dio. Il mistero dell’incarnazione ci dice che la vita di Gesù, nel suo quotidiano e umanissimo dipanarsi fatto di incontri e amicizia, di servizio e amore, di dedizione ai fratelli e obbedienza al Padre, ci insegna a vivere secondo Dio”. A parlare è padre Luciano Manicardi, monaco della comunità di Bose e apprezzato biblista. Gli abbiamo rivolto alcune domande sul tema della sofferenza che, in varie forme e modi, caratterizza la nostra condizione umana.
Padre Manicardi, Dio non spiega il mistero della sofferenza, ma attraverso Gesù, uomo fra gli uomini, condivide il dolore umano. Secondo Lei, come si può spiegare ad un giovane la dimensione del dolore e la sofferenza nel mondo?
Sul problema del male e della sofferenza la Scrittura non offre soluzioni, non risponde al “perché?”, ma presenta la possibilità di una consolazione, presenta una possibilità di dotare di senso la sofferenza, di assumerla, di farne un’occasione per imparare a vivere e a seguire il Cristo crocifisso, di rendere vivibile e tollerabile ciò che rischia di essere assurdo e insopportabile. La nostra domanda angosciata “Dov’è Dio?” o “Dov’era Dio?” di fronte allo sterminio di persone innocenti, di fronte alla morte assurda del bambino, di fronte alla morte tragica dell’amico e del coetaneo, di fronte alla malattia che stronca una vita ancora giovane e nel pieno delle forze, di fronte insomma alle tragedie che devastano le esistenze personali e le storie dei popoli, sembra non trovare risposta…
E tuttavia il vangelo ci narra che Dio è proprio là, tra le vittime. Gesù, l’Emmanuele, il Dio-con-noi, si trova anche lui tra i bambini al di sotto dei due anni che vengono condannati a morte dal re Erode…
Certo, e pertanto possiamo dire che di fronte al dolore e alla sofferenza, anche il cristiano scopre la propria inermità: anche il cristiano non conosce una strada che aggiri il dolore, ma piuttosto una strada che, insieme con Dio, lo attraversi. Nella sofferenza, nell’enigma del dolore e del lutto, il cristiano sa di avere una Presenza a cui può sempre rivolgersi, a cui può gridare, che può anche contestare, con cui può protestare, e questa presa di parola di fronte alla sofferenza non elimina certo il dolore ma aiuta a darvi un senso, a elaborarlo. Aiuta a maturare umanamente e nella fede. Sarebbe veramente indegno del cristianesimo il pensare che la fede debba, e possa, esentare il cristiano dalla sofferenza e dal male che colpisce tanti e tanti uomini.
Come reagire?
Occorre accedere alla comprensione che la sofferenza è costituiva dell’esistenza. E dell’amore: la passione di amore, non è solo trasporto, estasi, beatitudine, ma anche sofferenza, angoscia, ansia. E questo perché l’amore esige un vivere con un altro. E sarebbe una concezione magica, astratta, che non tiene conto dell’incarnazione, il pensare il Dio cristiano, sulla scia delle rappresentazioni pagane e filosofiche, come essere asettico, impassibile e distaccato dalla realtà, che non scende dai cieli in cui abita: un Dio del settimo piano che non si interessa di ciò che avviene al piano terra.
Dunque, il Dio biblico è il Dio che prende sul serio la sofferenza umana e si presenta come Dio che si compromette con l’uomo sofferente, che si abbassa per condividere la sua situazione e per fare strada con lui?
È il Dio compassionevole. Questo annuncio che il cristiano vede rappresentato al meglio nella croce di Cristo, contiene in sé una grande speranza per l’uomo sofferente: non ci sono situazioni disperate, infernali, in cui l’uomo non possa sperimentare la vicinanza di Dio. Per quanto in basso cada l’uomo, l’ultimo e più basso posto è già stato occupato da Cristo.
Possiamo ritornare di nuovo alla prima domanda per spiegare la dimensione del dolore e della sofferenza presente nel mondo?
Credo che dobbiamo anzitutto rinunciare a spiegare l’inspiegabile. Il male è un enigma, la sofferenza è un enigma irriducibile che resiste alle nostre sapienze e tentativi di spiegazione e razionalizzazione. Di più. Non esiste l’astratta sofferenza o l’astratto dolore: esiste solo la sofferenza di una persona precisa; esiste il dolore che devasta il corpo e la mente di un uomo e di una donna. Esiste l’uomo sofferente che, nella sua unicità irripetibile, dà un volto tutto particolare alla sofferenza e al dolore. In quest’ottica possiamo dire che la sofferenza non ha un senso - prestabilito, già fissato, già determinato -, ma che un senso lo può ricevere dalla persona che la sta vivendo. Il senso della sofferenza è un evento, non un dato. E questo è vero da un punto di vista antropologico e psicologico come da un punto di vista spirituale e cristiano. Sappiamo come le grandi sofferenze - un lutto, la nascita di un figlio portatore di handicap, l’insorgere di una grave malattia, un incidente che costringe all’immobilità -, mettano in atto un lungo percorso psicologico con cui la persona reagisce a ciò che sta capitando alla propria vita per giungere faticosamente a darvi un senso. Un cammino che conosce molte tappe - shock, negazione, collera, trattativa, depressione, accettazione, pace -, e nessuna sicurezza che esso sia compiuto per intero e senza ritorni indietro. Ma anche dal punto di vista cristiano la sofferenza mette in crisi l’immagine di Dio che si aveva prima e può scatenare una vera e propria crisi di fede. Ma può anche essere l’occasione per spezzare immagini di Dio artefatte, consolatorie, rassicuranti, e ritrovare la verità e la nudità della propria fede. Il senso cristiano della sofferenza avviene nell’incontro tra lo Spirito di Dio e la particolare umanità del sofferente, e ovviamente dell’ambiente umano che lo circonda. È un evento pneumatico, cioè spirituale.
Su questo tema cosa occorre ricordare ad un giovane?
Poche ed essenziali cose: e anzitutto che la sofferenza fa parte della vita ed è inevitabile incontrarla. Volerla rimuovere, evitare, non risolve il problema. Occorre allora dire la propria sofferenza: trovare una persona a cui si possa confidare la sofferenza che ci turba e sconvolge. “Parlare la sofferenza” è il primo passo per elaborarla e non lasciarsene abbattere. Verbalizzare, mettere in parole il proprio dolore e trovare chi accolga questa sofferta espressione, queste difficili parole, può aiutare il sofferente stesso ad accogliere la propria sofferenza e ad accogliersi nella propria sofferenza: se un altro mi accoglie, anch’io posso accogliermi. Della sofferenza, infatti, non ci si deve vergognare.
I modelli esistenziali diffusi dalla pubblicità e dai rotocalchi sono menzogneri nel loro presentare persone sempre belle, vigorose, in salute, ed eternamente sorridenti. La realtà è infinitamente diversa…
Nella realtà il giovane si trova a vivere sofferenze che non sa come portare e crisi che non sa come gestire. Ogni crisi è un momento di passaggio che può avere un esito positivo o negativo. Ma la crisi è essenziale alla vita, la quale procede e avanza appunto attraverso crisi. Spesso le crisi, col peso di sofferenza che comportano, sono l’occasione di ritrovare verità, di spezzare le corazze delle sicurezze acquisite e in cui ci si stava cristallizzando, sono il faticoso prezzo da pagare per entrare sempre più pienamente nella vita. Non si dimentichi che la prima sofferenza e la prima e radicale crisi è sempre alle nostre spalle ed è la nostra nascita. Avvenuta nel dolore della madre e culminata nella traumatica uscita alla luce del bambino che grida, essa è la dolorosa e necessaria sofferenza per entrare nella vita. Da allora ogni progresso nella vita, ogni scelta, ogni decisione, comporta un peso di fatica, dolore, sofferenza. Non si abbia paura della fatica! Nulla è a basso prezzo nell’esistenza, nulla è dovuto. Anche l’amore è un lavoro, una fatica, che comporta sofferenza. Ha scritto il poeta Rainer Maria Rilke: “Non c’è nulla di più arduo che amarsi. È un lavoro a giornata. I giovani però non sono preparati a questa difficoltà dell’amore. Di questa relazione estrema e complessa le convenzioni hanno tentato di fare un rapporto facile e leggero, le hanno conferito l’apparenza di essere alla portata di tutti. Non è così. L’amore è una cosa difficile… Prendere sul serio l’amore, soffrirlo, impararlo come un lavoro: ecco ciò che è necessario ai giovani. La gente ha frainteso il posto dell’amore nella vita: ne ha fatto un gioco, un divertimento. Ma chi ama deve cercare di comportarsi come se fosse di fronte a un grande compito: spesso restare solo, rientrare in se stesso, concentrarsi; deve lavorare; deve diventare qualcosa!”.
La sofferenza è come lo scalpello dello scultore che colpisce il masso di marmo per farne emergere la figura finita, la statua. I colpi della sofferenza, accettati e assunti, plasmano la nostra umanità nella saldezza e nella verità. (Carlo Silvano)
D.G.B.