All’inizio degli anni ’80 mi fu chiesto di far parte del Comitato della Caritas parrocchiale di Chiasso. Un gruppo guidato dal parroco con alcune altre persone in “età avanzata”; io non avevo ancora 20 anni. Ci si trovava regolarmente per verificare alcuni casi dove si potevano pagare delle fatture di persone che alla Caritas parrocchiale avevano fatto richiesta (a volte i casi si ripetevano ed erano le stesse persone che avevano già beneficiato di aiuti in precedenza). Per Natale poi si andava dalle persone “bisognose” e si consegnava loro il pacco con alimentari e l’augurio di Buon Natale. Gesto che faceva sicuramente piacere, soprattutto alle persone anziane che accoglievano sempre con gioia chi bussava alla porta. Non nascondo un certo imbarazzo quando mi trovavo davanti a persone a me ben conosciute e magari con solo qualche anno più di me.
Chiasso, cittadina di frontiera conosce(va) una realtà diversa da altre del Cantone, vista la frontiera e dunque anche l’arrivo di persone dall’Italia (che comunque non sempre si accontentavano di fermarsi lì) in cerca di aiuto (soldi) aumentava la casistica di persone che facevano riferimento alla Parrocchia. I sacerdoti erano giornalmente richiesti da persone che chiedevano (chiedono) soldi. La reazione era spesso quella di dare 5,10, 20… franchi sotto la pressione delle richieste, magari anche con storie commoventi. Questo provocava un “turismo” dall’Italia non indifferente in quanto si era sparsa la voce che un bravo sacerdote aiutava chi chiedeva.
Il mio qui non è un giudizio sul sacerdote che era di gran cuore che a lungo andare a chiesto aiuto per tale situazione, ma sul metodo.
Si arrivò poi nel 1989, con un nuovo parroco, a tentare di gestire questo problema. Per evitare che le persone si rivolgessero ai sacerdoti per scopi finanziari, si decise di aprire un Centro di accoglienza parrocchiale con lo scopo di dirottarvi quelle persone. Così fu, chi si presentava dai sacerdoti o in sagrestia, riceveva un biglietto con l’indicazione di rivolgersi al Centro.
Diverse furono le persone che si presentarono ed il lavoro per i volontari, non mancava. Bisognava però educare questi volontari, sempre disponibili a tante iniziative, ad affrontare in modo corretto le situazioni. Io fui nominato responsabile di questo Centro, pur non avendo esperienza nel campo, ma di fatto ero il più giovane ed in più lavoravo in banca, dunque si presumeva che di soldi qualcosa capissi.
All’inizio l’affluenza era molta, persone che avevano fame, persone che arrivavano da Bruxelles a cui avevano rubato tutti i documenti ed i soldi, persone che se non pagavano l’affitto le avrebbero buttate fuori di casa, persone che chiedevano un letto per passare la notte. Naturalmente i racconti delle persone erano raccontate in modo da convincere il più possibile il volontario che aveva il potere di donare una somma. I volontari nei casi dubbi mi chiamavano per sapere come agire.
Dopo un primo periodo di assestamento, dove anch’io cascai nella trappola e diedi dei soldi ad una donna per pagare l’affitto (la stessa la “incastrai” più tardi capendo che era una tossica) si continuò il lavoro con chiare direttive. A chi chiedeva soldi per mangiare, si dava loro un buono per magiare in un ristorante convenzionato. Chi aveva veramente fame lo utilizzava. Chi chiedeva soldi per l’affitto, se domiciliato a Chiasso lo si indirizzava all’uff. assistenza del Comune che eventualmente interveniva anche tramite il Soccorso d’inverno. Chi chiedeva un posto per dormire, per una notte, lo si accompagnava ad una pensione a buon prezzo della zona, ma non si ospitavano persone in strutture parrocchiali. Il costo era inferiore e la persona più libera. Il lavoro maggiore divenne così un coordinamento con l’uff. comunale di assistenza e dunque un lavoro d’informazione alle persone di passaggio su come muoversi all’interno di questi problemi. Si aveva così anche un buon lavoro a livello educativo per gli utenti, ma anche per i volontari.
Al Centro facevano capo anche persone che non chiedevano soldi ma solo un attimo di incontro di discussione. Spesso persone comunque con altri problemi.
Col passare del tempo i fruitori diminuirono perché capivano che di soldi non ne ricevevano se non in casi in collaborazione con il Comune dove si andava a fondo del problema.
Qui ne nasceva però un altro. Quello dei volontari che si sentivano .. un po’ frustrati, in quanto passavano lo loro ore al Centro senza che questo potesse accogliere qualcuno. E qui si introduce un altro tema, quello della motivazione del volontario, che potrebbe essere trattato in altri topic. Gli stessi volontari andarono però a garantire il funzionamento del Mercatino di Caritas Ticino che in quei momenti vedeva la sua apertura.
Il Centro finì poi per chiudere in quanto aveva raggiunto il suo scopo, quello di non esistere.
Ho voluto esporre questa esperienza di tipo locale, ma penso significativa per indicare che il bisogno lo si deve affrontare quando esiste e non crearlo, magari artificialmente, per poi trovarsi davanti a situazioni che portano i volontari alla frustrazione in quanto non possono aiutare. Ma questo è solo un aspetto del problema, neanche il principale, ma importante.
Il discorso del metodo è basilare. A CATI lo riscontriamo sia nel servizio sociale, sia nell’aiuto all’estero. Ritengo di non essere un esperto in sociologia o in materia di aiuto allo sviluppo, ma quando mi occupavo del Centro di Chiasso cercavo di usare da una parte quella poca esperienza che maturavo giorno dopo giorno e dall’altra il buon senso.
A CATI questa metodologia, quella della responsabilizzazione della persona, arriva da anni di esperienza, come dice la Dani.
Ma colui, volendo giustificarsi, disse a Gesù: E chi è il mio prossimo?
Gesù, replicando, disse: Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s'imbatté in ladroni i quali, spogliatolo e feritolo, se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Or, per caso, un sacerdote scendeva per quella stessa via; e veduto colui, passò oltre dal lato opposto. Così pure un levita, giunto a quel luogo e vedutolo, passò oltre dal lato opposto.
Ma un Samaritano che era in viaggio giunse presso a lui; e vedutolo, n'ebbe pietà; e accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra dell'olio e del vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo menò ad un albergo e si prese cura di lui.
E il giorno dopo, tratti fuori due denari, li diede all'oste e gli disse: Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, quando tornerò in su, te lo renderò.
Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté ne' ladroni?
E quello rispose: Colui che gli usò misericordia. E Gesù gli disse: Va', e fa' tu il simigliante.
Se il discorso lo poniamo a livello di noi cattolici, possiamo far riferimento a questo estratto del vangelo di Luca (10 25-37). Bene davanti a questo si può rimanere spiazzati. Per rimanere allo spunto di Roby sull’allargamento dell’UE, se arriva a CATI una persona dall’Est e ti dice che non ha soldi, tu l’accogli e sei tentato di dargli quello che chiede. Se ti dice che non ha soldi, gli chiedi per cosa li vuole. Ti dice che vuole dormire e ti chiedi fino ad oggi cosa ha fatto. Non arrivi ad una soluzione. Gli dici allora che non si può far niente ed eventualmente lo mandi a qualche altro ente.
Potresti pagargli una camera in una pensione, ma poi il giorno dopo ti ritrovi da capo. Il discorso di fondo su questo esempio è capire come mai questa persona ha deciso di arrivare da noi senza un obiettivo chiaro, senza prospettiva, senza prima aver chiaro dove andava a parare.
Non vorrei sembrare blasfemo ma probabilmente il buon Samaritano dopo essersi preso cura dell’uomo di Gerusalemme avrebbe cercato di capire perché si era trovato in quella situazione e non avrebbe pagato in eterno l’oste per farlo dormire lì per sempre. Lo avrebbe riaccompagnato a casa sua.
Le persone che bussano alle nostre porte le accogliamo, magari tutte. Poi però è giusto capire perché bussano, perché sono arrivate fino a noi e con quali obiettivi. Mi sembra che gli articoli sulla nostra rivista, in modo particolare "l’intelligenza della carità" entrino bene nel merito della questione.
Se io accolgo una persona, la faccio dormire due o tre notti e poi la porto alla polizia per rimpatriarla, ho solo spostato di un paio di giorni il problema. In polizia potevamo andarci subito.
Se io pago l’affitto ad una persona per un mese ma dietro ha debiti a 4 zeri, non l’ho aiutata, l’ho illusa e deresponsabilizzata.
A volte, a costo di sembrare troppo duri, è forse più educativo che certe persone tocchino il fondo, per poi prendere la spinta per risalire, perché restando a metà non hanno più la possibilità di riprendersi.
Spero che questo mio romanzo, messo lì poco schematicamente e magari un po' ridondante (come dice la Dani
) possa essere compreso. Capisco che è difficile far passare questi messaggi. Me ne accorgo soprattutto con l’aiuto all’estero dove l’assistenzialismo è sempre lì pronto a saltarti addosso. Ma anche nella mentalità comune della gente, la nostra, ci vorranno anni di lavoro per far passare queste idee, che non hanno niente a che vedere con il non accogliere, anzi!
Grazie per la pazienza.