povertà sociale e povertà religiosa

temi vari che non trovano collocazione nelle categorie proposte
giardiniere dell'Eden
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povertà sociale e povertà religiosa

Messaggioda giardiniere dell'Eden » lun gen 23, 2006 5:42 pm

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La povertà nell' A.T. è vista come assenza di potere, sia sui beni che sulle persone: il termine "ananim" significa "curvati", quindi evoca dipendenza, mancanza di potere, non identificabile con la miseria. La povertà in questo significato viene vista, soprattutto dai profeti, come una condizione per aprirsi a una salvezza che non viene da sé stessi, ma viene dall'alto.
La povertà, che è innanzitutto una condizione sociologica, diventa un'attitudine religiosa.
Già nell'A.T. si intrecciano nel concetto di povertà un aspetto più propriamente sociologico, che ha a che fare con i beni economici, con uno più squisitamente religioso.
La situazione economica o sociale tuttavia non provoca necessariamente l'insorgere di questa attitudine religiosa, ma ne è una condizione necessaria: il povero è colui che, appartenendo a questa schiera dei senza potere, vive questa esperienza caricandola di un significato religioso. Non vive la povertà in termini di disperazione o rifiuto radicale, ma come un'occasione per accedere a una salvezza che non può venire solo da lui, evitando ogni tentativo di autogiustificazione e ogni presunzione di potersi pienamente salvare da solo.
Questo duplice aspetto della povertà come stato socio-economico ed attitudine religiosa si ritrova anche nel Nuovo Testamento.
La beatitudine della povertà ci viene riferita in due versioni diverse:
In Luca è collocata nel "discorso della pianura", contrapposto ma molto simile a quello "della montagna" di Matteo.
Luca propone quattro beatitudini e quattro maledizioni, di cui la prima è "beati i poveri", così come la prima maledizione sarà "guai a voi ricchi"...

(da Povertà come condivisione, di Giannino Piana, '97)
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giardiniere dell'Eden
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Messaggioda giardiniere dell'Eden » sab gen 28, 2006 6:21 pm

- 2 -
La beatitudine della povertà è la prima sia per Luca che per Matteo, ma solo quella di Luca è espressa in un discorso diretto (beati voi poveri), mentre Matteo dice: beati i poveri di spirito.

Questa doppia versione ha fatto nascere equivoci interpretativi sulla povertà, con le opposte tendenze a materializzare fortemente la povertà (seguendo Luca) oppure a spiritualizzarla (con Matteo).

Le parole di Matteo vanno lette però nel senso indicato dalla tradizione veterotestamentaria: beati i poveri sociologicamente parlando, che sono coscienti del valore positivo della loro assenza di potere materiale, come possibilità di apertura alla fiducia in Dio; "in spirito" viene allora tradotto nel senso della "consapevolezza" positiva di una povertà socio-economica che non dà automaticamente la salvezza, ma che può essere vissuta positivamente per accogliere il regno di Dio.
L'attitudine religiosa è quella decisiva, ma non può esistere senza l'altro aspetto; quindi qualsiasi visione puramente materiale della povertà contraddirebbe questa idea complessiva della povertà evangelica, che non è riducibile solamente a uno dei due aspetti, nemmeno a quello puramente religioso.

(da Povertà come condivisione di Giannino Piana '97)

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » dom gen 29, 2006 1:18 am

- 3 -
La ricchezza genera idolatria

Ci dà conferma di questo il modo nel quale viene sviluppato il tema della ricchezza nel N.T.:"guai a voi ricchi" è un condensato della morale di Gesù e si accosta alla contrapposizione fra Dio e "mammona" (non si può seguire Dio e la ricchezza); ricordiamo anche le parabole che mettono in luce la gravità del possesso dei beni, inteso come possesso esclusivo e totalizzante (la parabola di Lazzaro e del ricco; la frase "è più facile che un cammello entri ..."; la parabola dello stolto che accumula nel granaio e sente la voce di Dio che gli dice:"stanotte morirai").

L'accumulo è condannato anzitutto sul versante socio-economico, ma più radicalmente è condannato da Gesù perché - accanto all'ingiustizia sul piano dei rapporti umani - provoca incapacità di aprirsi a Dio, cioè provoca idolatria, "perché dov'è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore".

Un Dio povero accanto all'uomo

La ragione ultima della beatitudine della povertà sta nel fatto che noi facciamo esperienza (cristiani o ebrei) di un Dio che si è rivelato nella storia come un Dio povero. Cristo è il paradigma delle scelte e dei comportamenti del credente: la povertà quindi trova la sua radice ultima nella povertà di Dio. Egli infatti si manifesta nel segno dell'impotenza, nello scandalo della croce.

(da La povertà come condivisione, di Giannino Piana, '97)
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Dante Balbo
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Messaggioda Dante Balbo » dom gen 29, 2006 2:51 pm

ciao giardiniere,
Non è che hai il testo intero di giannino Piana, maari in versione elettronica?
Il testo è interessante, anche perché rispecchia abbastanza fedelemente i comenti in argomento che abbiao fatto nelle varie edizioni del vangelo in casa, scaricabile sul nostro sito.
L'incarnazione è un osso durissimo da digerire anche per noi cristiani e sempre nel corso della storia si sono evidenziate le due tendenze di spiritualizzazione o di sociologizzazione ella realtà umana. Una risposa egregia ci viene dall'ultima enciclica del Santo Padre, che invece di scegliere una concezione di aore disincarnata, propone la irabile sintesi che nell'esperienza cristiana fa in primis proprio dio stesso, fondendo passione aorosa e agape. Penso ad esepio al concetto di eucaristia come realtà trasendente, ma anche come imperativo di comunione e di responsabilità sociale.
D.G.B.

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » dom gen 29, 2006 7:57 pm

Piacere di conoscerla sig. Balbo. Trovare il testo integrale è molto semplice: cerchi con google "Povertà come condivisione", poi clicchi sul primo sito che appare e avrà già il testo.
Io non ho fatto altro che trascriverlo, omettendo eventuali ripetizioni.

Non ho dato subito l'indirizzo del sito, convinto che chi fosse stato realmente interessato l'avrebbe cercato, oppure avrebbe aspettato che terminassi la trascrizione. Un altro motivo è questo: quando viene dato l'indirizzo internet di un argomento che può interessare, magari si va sul sito, ma poi, constatando che è lungo e che richiederebbe tempo e investimento superiori ai cinque minuti di concentrazione - secondo i tempi televisivi - pochissimi o nessuno si dà la briga di leggerlo. Il discorso certamente non vale per l'Enciclica del Papa, ma è un'eccezione. Se invece trascrivi il testo, e lo presenti a tappe brevi, oltre ad avere l'attenzione di chi ci si ritrova come sensibilità, avrai anche l'attenzione del viandante o del passeggero, almeno per una delle tappe, che poi potrebbero diventare due ... Vent'anni fa leggevo Dostoijevsky con grande accanimento - e lei sa che ogni suo romanzo, sempre in due volumi, conta più di mille pagine, fitte fitte. Oggi fatico a leggere più di dieci pagine, indipendentemente dall'argomento. Non è solo la pigrizia che aumenta con l'età, è anche il condizionamento dei mass-media, della cultura dell'immagine -che richiede solo una breve didascalia per essere compresa- ad avermi modificato il cervello.

Dante Balbo
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Messaggioda Dante Balbo » dom gen 29, 2006 11:00 pm

La mia esperienza è diversa, perché per vent'anni non ho potuto leggere quasi niente, perché i libri erano poco disponibili in braille e moltovoluminosi. da quando esiste il computer accessibile, sono diventato un divoratore di libri, rifacendomi del tempo perduto, tanto che mia moglie sospetta una sindrome ossessiva. Se mi manda il link diretto al testo che ha gentilmente messo a disposizione a puntate, non tema, me lo leggo tutto.
D.G.B.

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » dom gen 29, 2006 11:30 pm

l'indirizzo è questo:

http://www.tempidifraternita.it/articol ... isione.htm
Più sicuro il seguente percorso: si cerchi un Google "povertà come condivisione". Dovrebbe essere il primo della lista.

Tanto di cappello!
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Messaggioda giardiniere dell'Eden » lun gen 30, 2006 1:13 am

(dopo la parentesi con il sig. Balbo, continuo a riferire su povertà sociale e povertà religiosa)

- 4 -
...La rivelazione così come ci è stata offerta attraverso l'incarnazione e la morte di Cristo, ci dice che il Dio cristiano è un Dio povero e dedito agli altri, e sottolinea come la povertà, così come la manifestazione di Dio sulla croce, è la rivelazione più alta di Dio come amore. Non è uno spogliarsi di potere fine a sé stesso, ma finalizzato al servizio e al fare della propria vita un dono.
Questo è il senso profondo della povertà, che si collega strettamente alla carità:"non c'è amore più grande di colui che dà la propria vita per i fratelli".

La povertà del cristiano

Nel corso della sua vita, la Chiesa ha vissuto in certi momenti la tentazione di ridurre la povertà a puro stato sociologico, trascurandone l'aspetto di fede, in altri di spiritualizzarla, sganciandola completamente dalla situazione concreta.

La prima tentazione è già evidente nei Padri della Chiesa, e poi ritorna nel Medioevo, con un tentativo di identificare la povertà con il pauperismo, collegato a sua volta con una visione negativa di tutto ciò che è materiale: i beni della terra sono considerati negativi e rifiutati, perché indurrebbero al peccato, e la povertà si identifica con il maggior abbandono possibile di ogni bene.

Dalla parte opposta troviamo, soprattutto con Agostino, la spiritualizzazione di tutto il discorso, interpretando la povertà come valore cardinale di tutto il cristianesimo (in fondo le altre beatitudini sono riassunte nella prima), ma vista nella sua valenza esclusivamente interiore, come attitudine religiosa e disponibilità a lasciarsi guidare da Dio; ciò indipendentemente dal possesso di beni materiali, anzi spesso in situazioni di abbondanza di beni economici e di potere. Si diceva: non conta tanto la quantità di beni posseduti, quanto il fatto di avere il cuore libero.
Ma è proprio questo che sembra denunciare il discorso evangelico: l'impossibilità di avere il cuore libero laddove i beni sovrabbondano.

(da Povertà come condivisione di Giannino Piana, '97)
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Messaggioda giardiniere dell'Eden » lun gen 30, 2006 6:44 pm

- 5 -
...La doppia tentazione emerge continuamente nella storia, dove si osserva una incapacità di mediare correttamente i due aspetti.

Lo sviluppo della tradizione cristiana, dai primi secoli ad oggi, collega strettamente la povertà evangelica con tre finalità delle quali, di volta in volta, viene accentuata l'una o l'altra:

1. Povertà per la sequela,

finalizzata soprattutto all'essere discepoli, nel seguire un maestro che è il Dio della kenosis, dello spogliamento radicale, quel Gesù che chiamava i suoi discepoli a seguirlo dicendo: chi vuole seguirmi, prenda la sua croce, perché chi perde la propria vita la troverà. Diceva anche: le volpi hanno la loro tana, gli uccelli il nido, ma il Figlio dell'uomo non ha neppure un sasso dove posare il capo; quindi la povertà è necessaria per imitare il Maestro.

2. Povertà per la carità:

in una dimensione orizzontale di rapporti umani, a partire dalla considerazione che i beni sono limitati, i cristiani sottolineano che il possesso eccessivo di beni da parte di pochi, finisce per sottrarre a molti altri quei beni necessari per la sopravvivenza, o almeno per lo sviluppo di una vita dignitosa.
Potremmo anche chiamarla "povertà per la giustizia", in quanto la carità include la giustizia come equa distribuzione dei beni, anche se la carità va oltre, perché supera il diritto e si muove nella prospettiva del puro dono.

3. Povertà per la libertà,

nel senso che la ricchezza viene condannata, a partire dalla Bibbia, in quanto chiude il cuore dell'uomo su sé stesso, e le condizioni che sembrano sviluppare il massimo di libertà, producono invece schiavitù, dipendenza ed incapacità di vivere in profondità la ricerca dei valori importanti.
L'eccessiva abbondanza, se per un verso può creare appagamento, per l'altro verso crea una situazione di affanno, di continua tensione, di continuo assorbimento intorno al possesso, per conservarlo o per espanderlo, impedendo di cogliere altre dimensioni dell'esperienza umana.

Queste tre categorie rappresentano ciascuna un elemento di definizione della povertà: essa deve essere per la sequela, per la carità e la giustizia, e forse deve essere ciò attorno a cui ruota tutto; povertà per la libertà di conservare questo cuore aperto, sgombro da forme opprimenti di schiavitù, che impediscono all'uomo di aprirsi all'altro, e di aprirsi a Dio.

(da Povertà come condivisione di Giannino Piana, '97)
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giardiniere dell'Eden
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Messaggioda giardiniere dell'Eden » mar gen 31, 2006 9:39 pm

- 6 -
POVERTA' E CONDIVISIONE

Quale deve essere il rapporto con i beni economici?

a) In negativo si potrebbe dire che la povertà non è rifiuto del possesso dei beni.
Il cristianesimo non guarda con sospetto ai beni in sé stessi, come fossero qualcosa di cattivo; i beni della terra sono frutto della creazione, sono dono di Dio all'umanità. A tutta l'umanità, non solo a pochi.
S. Ambrogio diceva che se accumuliamo troppi beni e vediamo il povero in condizioni di miseria, non dobbiamo per gratuita disponibilità interiore fargli omaggio di ciò che ci avanza, ma semplicemente gli dobbiamo restituire ciò che gli abbiamo indebitamente sottratto; la terra è di tutti, non solo dei ricchi.

b) Il cristianesimo non rifiuta i beni nemmeno per un motivo più sottile, per il quale la povertà come sequela di Cristo imporrebbe a ciascuno di cercarsi la croce: non siamo masochisti, e Gesù non ci chiede di andarci a cercare una croce, ma di accettare quella che la vita ci propone.
Ogni tentativo autodistruttivo di negare i processi di autorealizzazione, che sono legittimi, non è cristiano. Il cristianesimo è la religione della gioia e della realizzazione di sé. Poi bisogna fare i conti con la croce, che va accettata e integrata al centro della nostra vita.

La povertà dunque non è rifiuto dei beni economici, ma non è neppure possesso, sia perché il possesso dilatandosi genera sperequazione e ingiustizie, sia perché genera dipendenza.

Povertà è dunque partecipazione, condivisione di beni, in quanto è finalizzata alla comunione tra le persone; i beni sono di tutti, secondo il principio della loro destinazione universale, che la Chiesa richiamava già nel periodo patristico (e in seguito poi sempre meno). Ogni volta che ci si appropria di qualche bene della terra bisogna chiedersi quanto ciò sia giusto non solo rispetto alla soddisfazione dei nostri bisogni, ma anche nel rispetto dei bisogni di tutti gli altri.

... Se poniamo al centro non il diritto assoluto di proprietà, ma la destinazione universale dei beni, la domanda che mi devo porre è: di quanto dei beni che sono propriamente destinati a tutti mi posso impossessare per soddisfare i miei bisogni, tenendo conto dei bisogni di tutti; allora questo avere è una forma di compartecipazione di una realtà che è fatta per essere condivisa: questa è la povertà come condivisione.

(da Povertà come condivisione di Giannino Piana, '97)
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Dante Balbo
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Messaggioda Dante Balbo » mar gen 31, 2006 9:49 pm

mi sembra molto equilibrato il concetto espresso da Giannino Piana, perché non cede ad alcun riduzionismo sociopolitico o spiritualistico. Un esempio concreto della possibile traducibilità di questi concetti in economia è l'esperienza dell'economia di comunione che coinvolge parecchie piccole medie iprese sparse per il mondo e che è promossa dalla spiritualità focolarina.
D.G.B.

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » mer feb 01, 2006 2:48 pm

Siamo in sintonia.
Allargherei lo sguardo a molti movimenti ecclesiali (la punta di diamante della Chiesa di oggi), i quali stanno facendo grandi cose in questa direzione. Seppur piccole gocce nel mare globale, ci auguriamo che abbiano un grande futuro. Questi movimenti rispondono poi in modo convincente alla passione e all'energia dei giovani, con forme educative di grande valore. E' sui giovani che bisogna puntare per una società rinnovata, lo ha capito bene Giovanni Paolo II.

Dante Balbo
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Messaggioda Dante Balbo » mer feb 01, 2006 3:53 pm

se abitaa nel sopraceneri, domani sera su Radio fiume ticino sarà trasmessa una intervista con Luca Crivelli economista e aderente al movimento dei Focolari, nel corso della quale è raccolta anche la testimonianza di Fabiano cavadini, responsabile ticinese della Banca alternativa Svizzera. La medesima intervista più ampia andrà in onda per Caritas Insieme Tv, questo sabato e domenica, mentre sul nostro sito sarà pubblicata in versione integrale per una durata di 32 minuti.
L'unico problema dei movimetnti ecclesiali è la ancora eccessiva clericalizazione, per cui l'economia è vista ancora con sospetto e diffidenza e in generale il mondo è il nemico, anzicché lo spazio ove esercitare la Carità.
D.G.B.

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » mer feb 01, 2006 7:15 pm

- 7 -
POVERTA' COME CONVIVIALITA'

Se vogliamo usare un'espressione evangelica, la povertà in rapporto ai beni è la convivialità, intendendo sia la comunione con le persone quanto la compartecipazione delle cose.
Guardiamo il modello della comunità cristiana primitiva: vivevano nella comunione fraterna, mettevano in comune i loro beni, spezzavano insieme il pane (Atti).
Non è casuale che Gesù abbia istituito l'eucarestia sotto la forma del banchetto, perché non c'è nulla di meglio del banchetto per esprimere bene la comunione tra le persone nella condivisione delle cose; quello che è sulla mensa è da distribuire a tutti, non è proprietà esclusiva di nessuno.

Il senso profondo della povertà nel rapporto con i beni è quello della convivialità finalizzata alla crescita della comunione interpersonale; i beni sono strumenti importanti, buoni, voluti da Dio, dati a tutti, ma in vista della crescita della fraternità tra le persone.

POVERTA' E RIDISTRIBUZIONE DELLE RISORSE

a) La prima direzione di ricerca, nell'ambito soprattutto della dimensione socio-economica del rapporto con i beni della terra in senso allargato, è quella della definizione del concetto di proprietà non solo come possesso di beni, ma come "controllo dei mezzi di produzione".
In una società tecnocratica chi ha il potere non è sempre chi materialmente ha il possesso dei mezzi di produzione, ma colui che li controlla, p.es. attraverso le altissime conoscenze tecnologiche, che sono in grado di decidere sulle scelte produttive.

b)La seconda direzione di approfondimento mi sembra quella del "rapporto fra povertà e qualità della vita": la spinta ad andare verso l'accumulo quantitativo dei beni, come espropriazione della natura, ha creato le condizioni per una dequalificazione progressiva della vita; allora, la povertà come autolimitazione dei bisogni e dei desideri, - e di conseguenza come limitazione concreta dei beni posseduti -, può essere intesa come sobrietà e come occasione per cambiare la qualità della vita. Significa cambiare la qualità dei rapporti dell'uomo con sé stesso, con gli altri, con il mondo, con la natura e con il tempo.

Se vogliamo che lo sviluppo non tenda per sempre ad un aumento quantitativo esasperato, la povertà può diventare il mezzo per ripensare la qualità della vita. Questo oggi sembra necessario anche da un punto di vista economico, perché ciò che un tempo si dichiarava eticamente inaccettabile, oggi è pensato anche come economicamente improduttivo.
Pensiamo alle ricadute negative sul terreno economico dei processi di inquinamento, o delle sperequazioni che generano conflittualità e migrazioni di massa, come quella dal sud al nord del mondo, con gli enormi costi anche economici di questa conflittualità.

(da Povertà come condivisione di Giannino Piana, '97)
continua (ancora per poco)

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Messaggioda Dante Balbo » gio feb 02, 2006 10:33 am

dal testo emerge un concetto complesso di povertà, che mi si collega per strade diverse ad un libro, un ecotriller di Crichton, dal titolo stato di Paura, che oltre alle vicende dei protagonisti, espone una serie di teorie sui vari concetti di ecologia e soprattutto che mi sebra interessante, sul pensiero come ecosistema. così come non esiste la natura incontaminata, anche perché lo stesso concetto di natura è un sedimento culturale, tutti i concetti che usiamo sono il frutto di una stratificazione culturale e soggetti alle oscillazioni. Oggi per esempio è assolutamente impossibile contestare un concetto se viene etichettato come scientifico, per cui per esempio il concetto di soglia di povertà è incontrovertibile, anche se gli studiosi stessi ne relativizzano la precisione. L'ermeneutica biblica non sfugge a questa regola ecologica. Mi domando per esempio quanto le aspettative influenzino i ritrovamenti testuali. qualche sforzo nella direzione di una lettura il più possibile critica si sta facendo. Un esempio in tal senso è il testo della tesi di dottorato del prof. don giorgio Paximadi, in cui si pone l'accento sulla struttura retorica come elemento ermeneutico. Mi domando ad esempio se il concetto di povertà in relazione alla dimensione conviviale non sia influenzato dalla cultura ingenuocomunistica del post68 o più in generale dall'accento che dopo il concilio è stato posto sulla dimensione comunitaria. L'idea di povertà come autoregolazione e sobrietà, al di là del valore di esercizio delle virtù cardinali, è anche figlia di un'idea pauperistica di scarsità delle risorse, che comprende tra l'altro il principio di sviluppo sostenibile che è un altro dictat del neoecologismo.
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Messaggioda giardiniere dell'Eden » gio feb 02, 2006 8:00 pm

Apprezzo molto il suo "accompagnamento paziente e critico". Mi riservo di intervenire più in là in modo più dettagliato. Devo confessarle comunque che io ho apprezzato molto la chiarezza dei primi 2/3 di questo testo sulla povertà, tentennando prima di decidere di continuare con l'altro terzo, avendo ben presente che questo è il forum di Caritas e poi per motivi di contenuto non del tutto condivisibili neppure da me. Ho pensato che potesse "favorire" e allargare il dibattito e poi anche per rispetto nei confronti dell'autore.
A proposito di ermeneutica biblica o di altro genere, certamente c'è il rischio che lei evidenzia.
Da quando ho cominciato a scrivere in questo topic, non ho mai smesso di chiedermi:-che cavolo stai facendo? ...-
Lo sto facendo, con un certo imbarazzo, non per rileggermi, magari il giorno dopo, ma perché è un'opportunità per approfondire con voi, con altri "quel fastidioso pizzicore sociale del cuore" che forse ho ereditato...

giardiniere dell'Eden
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Messaggioda giardiniere dell'Eden » gio feb 02, 2006 10:05 pm

- 8 -

POVERTA' PER VINCERE LA MISERIA

Un'ulteriore riflessione che si può fare - sempre nella direzione orizzontale della relazione con tutti gli altri - è quella della necessità della povertà, quella positiva, nel senso evangelico, per vincere la miseria.
Questo vale non solo a livello di singole persone, ma sopprattutto a livello di popoli: mettersi sulla strada della limitazione dei nostri bisogni, orientando anche i processi produttivi verso la soddisfazione dei bisogni primari di tutti, implica l'idea di non moltiplicare le nostre esigenze, che potrebbero diventare infinite, per poter generare perequazione e giustizia e recuperare un giusto rapporto tra nord e sud.
I processi strutturali, economici e politici non possono cambiare se non c'è un'attitudine diversa a livello delle coscienze.
Per vincere la povertà negativa, la miseria, occorre vivere la povertà positiva, evangelica.
Dato che le risorse sono limitate, e i bisogni vanno crescendo inevitabilmente, ed entro certi limiti sono anche bisogni autentici, bisogna reinventare qualche meccanismo di perequazione, che parta anche da un'autolimitazione dei bisogni di coloro che sono arrivati a poter soddisfare bisogni aleatori di qualunque genere. Meccanismo che favorirebbe non solo la possibilità di ridistribuzione, ma anche di mantenere risorse che saranno indispensabili per le generazioni future;
oppure inevitabilmente il divario tra ricchi e poveri, tra popoli sviluppati e sottosviluppati, non farà che crescere, e cresceranno anche all'interno delle singole nazioni sacche di povertà, che essendo minoritarie rischiano di essere ancora più penalizzate dal passar sopra della maggioranza.

(da Povertà e condivisione di Giannino Piana, '97)
seguirà una brevissima appendice

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » sab feb 04, 2006 12:52 am

- 9 - e ultima tappa

PER UNA NUOVA POLITICA DELLA SOLIDARIETA'

... La condivisione deve diventare obiettivo politico, altrimenti ci mettiamo nella prospettiva della pura elemosina o dell'assistenzialismo.
Certo, in alcuni casi immediati, c'è bisogno di assistenza subito, ma non è questa la logica che deve muoverci di fronte ai problemi; ci deve essere una progettualità complessiva di tipo politico.

Oggi non basta più ritirarsi nel campo del volontariato, nei gruppi, o nel proprio particolare ( pur riconoscendo la nobiltà di queste attività): ci sono le condizioni per ripensare allo stato sociale in una logica di solidarietà che nasce dalla società.

Stato e società possono riuscire ad interagire positivamente, se quest'ultima diventa una realtà viva, caratterizzata da aggregazioni che hanno forme specifiche: nel campo dell'economia penso al settore del cooperativismo e del no-profit, ma anche ad una economia diversa che si ispiri ad una democrazia economica, che la riporti nella società.

Bisogna cioè uscire dalla contrapposizione stato/mercato, che taglia fuori la società, ed introdurre questa nuova variabile, la società che controlla, partecipa e si fa azionista dei processi economici.

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Nota biblica: IL TEMA DEL SUPERFLUO IN LUCA 11

Il capovolgimento della prospettiva sul superfluo, che non è di dare quello che ci avanza, riaffermando quindi il diritto assoluto alla proprietà, è presente fortemente all'interno della stessa rivelazione biblica.
In Luca 11, 37-40 e sgg. si narra che Gesù entra in casa del fariseo e siede a mensa senza lavarsi le mani; tutti lo guardano con atteggiamento quasi di disprezzo e, interrogato dal padrone di casa sull'omissione delle abluzioni rituali, (fondamentali per un ebreo), Gesù risponde:- preoccupatevi piuttosto di dare quello che "super est" ai poveri.-

Questo "super est" è stato tradotto dalla vulgata (prima traduzione latina della Bibbia) dando origine al nostro: quello che sopravanza, espressione che giustifica la concezione tradizionale sul superfluo: quello che ci avanza va dato ai poveri.

Invece, gli esegeti (gli ermeneuti, gli interpreti critici) concordano oggi nel tradurre quell'espressione non come "ciò che avanza", ma come "ciò che sta sopra il piatto", dando un senso molto diverso al messaggio di Gesù: perché (piuttosto dell'impurità rituale) non vi preoccupate di condividere con i poveri ciò che avete sul piatto? Quindi, il "superfluo" è tutto ciò che abbiamo e che dobbiamo condividere, certo soddisfacendo anche le nostre esigenze, ma in un rapporto costante con le esigenze degli altri.

Per essere coerenti e attenti ai cambiamenti sociali, dobbiamo riconoscere che oggi non si può più parlare solo di superfluo individuale, ma di superfluo collettivo, di interi popoli, dei popoli ricchi nei confronti di quelli poveri. Quando a molti manca il necessario per la sopravvivenza, quanto di quello che abbiamo deve essere ridistribuito?

(da Povertà come codivisione, del teologo Giannino Piana, '97)

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » dom feb 05, 2006 1:51 am

Terminato il lavoro di "scriba" constato che comunque questo topic è stato letto.
Non ho trovato particolari insidie in questo testo del teologo Piana, ma molta chiarezza. L'ultima parte, relativa a una traduzione nel concreto dell'insegnamento evangelico, è solo abbozzata, soprattutto quando dalla coscienza si passa al discorso politico, strutturale.

Leggendo nei vari topic noto che molti concetti importanti rimangono solo accennati. Lei stesso, sig. Balbo, nel suo ultimo commento introduce per esempio il termine "ermeneutica" per capire il significato del quale bisognerebbe parlare del relativismo, del nichilismo e quindi del "pensiero debole". L'ermeneutica è il piatto forte del pensiero debole.
Il legame poi del pensiero debole con l'assistenzialismo mi sfugge, ma è tardi e forse sono un po' distratto.

giardiniere dell'Eden
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Messaggioda giardiniere dell'Eden » lun feb 06, 2006 10:20 am

Mi pare che il papa per primo - con la sua enciclica sull'amore - intenda ridare senso a parole abusate, che se non chiarite e recuperate semanticamente, fluttuano vuote come relitti, e noi perdiamo la consapevolezza del loro valore.

La povertà è un valore per il cristiano ed è necessario tenerne conto, eccome.

Voi puntate molto sulla consapevolezza. Nel lavoro sociale cercate di accompagnare la persona verso la consapevolezza, senza la quale non c'è assunzione di responsabilità.

Lo stesso vale per tutti noi. La cultura veicola i valori e quindi chi fa cultura deve essere consapevole e attento alla chiarezza semantica. Concetti fondanti come quello di "verità", "essere", "amore" appunto, ma anche "poverta" - complice anche una certa ermeneutica - sono diventati flatus voci.

Se il pensiero non è solo funzionale o strumentale, ma anche ricercatore mai pago nell'ambito della "nostalgia dell'assoluto" - e questo vale per l'accademico, l'operatore sociale, il giardiniere ecc. -, allora è necessario ridare tutto il senso che si è via via perduto almeno ai concetti fondamentali. Diversamente, più che far cultura si contribuisce, involontariamente, a confondere ancora di più, e se la ride " il pensiero debole".
Ultima modifica di giardiniere dell'Eden il mar feb 07, 2006 11:01 pm, modificato 1 volta in totale.

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » mar feb 07, 2006 12:24 pm

Sicuramente avrete visto il film "Risvegli" del 1990, con De Niro e Robin Williams. In quel film De Niro è affetto da encefalite letargica (più comunemente chiamata "malattia del sonno") e le cure e l'attenzione particolari (fuori dagli schemi) del medico (Robin Williams) riescono - almeno per un po' e dopo trent'anni di sonno - a risvegliarlo.

A me sembra capitata un poco la stessa cosa. Dopo una decina di annni di letargo, per merito soprattutto del mio ultimo figlio - giovane instancabile sofferente ricercatore di senso - mi sembra di essermi risvegliato.

Sarebbe interessante - tramite questo forum - tentare di aiutare altri a risvegliarsi.

Dopo aver prestato il mio lavoro manuale alla trattazione della povertà, mi pare che si potrebbero chiarire, seguendo magari lo stesso metodo dei "piccoli passi", altri termini importanti. Penso, p. es., a relativismo e pensiero debole.
Ma non vorrei essere invadente...

Dante Balbo
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Messaggioda Dante Balbo » mer feb 08, 2006 3:18 pm

solo un telegrafico messagio, per sottolineare che soo riuscito dopo qualhce giornoa tornare sul forum e ho trovato interessanti spunti. devo dire che la nostra attitudine a comunicare sepre di più attraverso il video, condiziona anche il nostro dire.
Sul ruolo della società nel rapporto stato mercato, invito a legere quando uscirà la nostra rivista l'articolo che ho scritto a partire da un'intervista con Sergio Morisoli (sommario leggibile http://www.caritas-ticino.ch/Emissioni%20TV/500/573.htm e video scaricabile direttamente http://caritas-ticino.dyndns.org/video/ ... 73xWEB.zip ) o meglio a leggere il suo libro, Modernizzare lo stato, edito dal giornale del Popolo.
a presto
D.G.B.

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » mar giu 12, 2007 10:42 pm

Spunti:

IL NEOPERSONALISMO SOLIDALE di Bartolomeo Sorge (marzo 2007):

http://www.aggiornamentisociali.it/0703editoriale.html

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padre sorge e il personalismo solidale

Messaggioda Dante Balbo » mer giu 13, 2007 9:42 am

interessante l'articolo, anche se mi sembra manchi un elemento importante nell'analisi di bartolomeo sorge, cio il fatto che la contrapposizione oggi si è spostata in europa non tanto sulla questione laica, a parte certi epigoni molto rumorosi ma di scarso rilievo, msulla famiglia, intorno alla quale non mi sembra ci possa esser una convergenza , fra chi ritiene che la famiglia sia un elemento costitutivo del tessuto sociale a patto che conservi la sua identità di relazione feconda fra un uomo e una donna, e chi promuove il riconoscimento politico e giuridico di unioni flessibili e indipendenti dal genere dei componenti. questo contrasto ha una netta relazione con il problema della povertà e della disuguaglianza sociale, perché è la premessa per la costruzione di società completamente diverse, ma anche di politiche sociali differenti, di movimenti verso i paesi in via di sviluppo, di approccio alla questione demografica ecc. consiglio in questo senso il libro di Alessandra Nucci, la donna ad una dimensione, edito da Rizzoli, se non sbaglio.
D.G.B.

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Messaggioda giardiniere dell'Eden » mar giu 19, 2007 11:27 pm

SOLIDARIETA' E SUSSIDIARIETA' NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA: IMPLICAZIONI RECIPROCHE, di Maurizio Mirilli 2006 (Tesina di laurea)

http://www.gliscritti.it/approf/2006/pa ... ocld448123
Ultima modifica di giardiniere dell'Eden il gio dic 30, 2010 8:45 pm, modificato 2 volte in totale.


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